I banchieri di Dio - Il caso Calvi
Un chiodo fisso quello di Giuseppe Ferrara che si è tolto dopo 15 anni, riuscendo finalmente a far uscire il suo film nelle sale, dopo bocciature e polemiche.
Sette anni dopo "Segreto di Stato" in cui denunciava i guasti dei servizi segreti italiani, Ferrara ritorna sulla storia politica d'Italia degli anni '80, tra bancarottieri, monsignori e faccendieri, e racconta la storia di Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano dal 1975, arrestato nell' '81 per il fallimento del Banco, condannato a 4 anni di reclusione e 15 miliardi di multa, fuggito all'estero e infine trovato impiccato il 18 giugno del 1982 sotto il Ponte dei Frati Neri a Londra. Dopo aver raccolto una enorme mole di dati ed informazioni non solo su Calvi ma anche sul Banco Ambrosiano, lo IOR, l'Opus Dei e la Massoneria, Ferrara si inerpica per le ripide pendici di un caso sul quale la giustizia italiana non ha fatto ancora oggi piena luce, nelle cui maglie era rimasto, sebbene per poco, intrappolato persino il Vaticano. Un film nel quale c'è tutto: dalla P2, all'attentato al Papa, alla guerra delle Falklands. Tra comparsate e camei passano sullo schermo personaggi politici come Andreotti, Craxi, o bancarottieri come Michele Sindona e la vicenda di Calvi si dipana, o sarebbe meglio dire si complica, tra agenti segreti tuttofare come Francesco Pazienza e ambigui faccendieri come Flavio Carboni, mentre i responsabili della banca vaticana Paul Marcinkus e il suo braccio destro Mennini si assicurano la salvezza con giochi di firme e di potere.
Come fu per "Il caso Moro" Ferrara svolge indagini con il suo film e tira conclusioni.
Ma non si possono certo raccontare 10 anni di storia politica ed economica italiana in poco più di due ore di film, e il "processo" cinematografico del regista si riduce ad una serie di dialoghi verbosi comprensibili solo a chi quegli anni li ha vissuti e ne conosce perfettamente i fatti politico-economici-sociali. Non resta altro che una serie di attori vestiti, o meglio travestiti, da uomini politici con il solo risultato di dare la sensazione di aver lasciato di corsa il Bagaglino per arrivare sul set, senza trovare il tempo di cambiarsi. A parte Omero Antonutti nelle vesti di Roberto Calvi e Rutger Hauer, in quelle di Paul Marcinkus, che per quanto somiglianti non si avvicinano neppure un momento alla parodia macchiettistica degli altri, il cast che Ferrara sottolinea essere composto da ben 164 attori, non è altro che un insieme di caricature che nel contesto tragico e serio delle intenzioni, finisce per infastidire tanto è ridicolo.
Le domande dello spettatore comune restano le stesse perché nonostante il tono fortemente didascalico della vicenda, sfugge il senso.

Valeria Chiari

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