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Halloween - La notte delle streghe

La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com

di Francesco Lomuscio11 ottobre 2018Voto: 10.0
 

  • Foto dal film Halloween - La notte delle streghe
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Il titolo doveva inizialmente essere “The babysitter murders”, ma l’aspetto più curioso risiede nel fatto che, vincitore del Festival di Avoriaz, il film che ha concesso a John Carpenter di farsi conoscere dal grande pubblico in qualità di maestro della paura pare sia nato quando il compianto Bob Clark gli confidò che, nel caso in cui gli fosse venuto in mente di dare un seguito al suo “Black Christmas – Un Natale rosso sangue”, del 1974, si sarebbe intitolato “Halloween” e avrebbe raccontato del ritorno dell’assassino nella propria città natale, una volta fuggito dall’istituto dove era stato internato.

Leggenda o realtà, sta di fatto che, introdotto da una magnifica soggettiva attraverso i fori per gli occhi di quella che sembrerebbe una maschera, “Halloween – La notte delle streghe” parte dall’omicidio di una nuda fanciulla commesso dal fratello di sei anni Michael Myers, il quale, una volta adulto, evade dal manicomio criminale per poi tornare ad Haddonfield, nell’Illinois, e dedicarsi allo sterminio di giovani durante la notte del 31 Ottobre 1978.
Sterminio che, in mezzo ad affilati coltelli e fili del telefono utilizzati per strangolare, ha aperto la strada al filone slasher, anticipato da titoli quali il citato capolavoro clarkiano e “Reazione a catena – Ecologia del delitto” di Mario Bava e che prevede una sequela di fantasiosi omicidi ai danni di un gruppo di persone in uno spazio più o meno chiuso.

Un filone i cui connotati vennero poi delineati in maniera definitiva, due anni più tardi, dal decisamente più scarno e sanguinolento “Venerdì 13” di Sean S. Cunningham, privo della classe registica di questo autentico gioiello che, rientrante di sicuro tra le maggiori vette (se non la maggiore) raggiunte dalla Settima arte horror e privo di splatter, vede alla caccia del serial killer un memorabile Donald Pleasence nei panni del dottor Sam Loomis, ovvero colui che lo aveva tenuto in cura.
Sam Loomis come il personaggio interpretato da John Gavin in “Psycho”, evidente fonte d’ispirazione oltretutto intuibile dal fatto che, nel ruolo della protagonista Laurie, babysitter impegnata a fronteggiare l’omicida nell’assedio casalingo d’antologia che precede l’apertissimo e innovativo epilogo, troviamo una esordiente Jamie Lee Curtis, figlia proprio della Janet Leigh che periva sotto la doccia per mano di Norman Bates nel classico di Alfred Hitchcock.

Classico che Carpenter tiene sicuramente a mente anche perché, come lo psicopatico che ebbe le fattezze di Anthony Perkins, Myers – piuttosto invulnerabile e il cui volto è nascosto sotto una bianca maschera che il costumista ottenne modificandone una riproducente il viso del capitano Kirk della serie “Star trek” – sembrerebbe uccidere a causa di una sorta di attrazione-repulsione nei confronti del sesso vissuto come atto osceno.
E, con fisicità e movenze dichiaratamente mutuate da quelle dell’alieno de “La cosa da un altro mondo” di Christian Nyby e Howard Hawks, le sue lente apparizioni dal buio, impreziosite dall’eccellente lavoro svolto dal direttore della fotografia Dean Cundey, sono destinate probabilmente a rimanere per sempre nella lista dei più influenti e intramontabili meccanismi di terrore in fotogrammi... tanto più che accompagnate spesso dalla splendida colonna sonora a firma del regista stesso, seppur chiaramente debitrice nel tema principale nei confronti di quello gobliniano che rese grande “Profondo rosso” di Dario Argento.


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