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Il diritto di uccidere

La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com

di Roberto Leofrigio18 agosto 2016Voto: 8.0
 

  • Foto dal film Il diritto di uccidere
  • Foto dal film Il diritto di uccidere
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La guerra dei combattuta dai droni è ormai un argomento molto attuale ed era già stata affrontata nel sottovalutato Good Kill di Andrew Niccol che ci mostrava le dinamiche e lo stress di chi compie un'azione di guerra a distanza attraverso un joystick per uccidere degli esseri umani.
Il dilemma morale della guerra e delle perdite collaterali torna con questa pellicola diretta dal regista sudafricano Gavin Hood che già nel 2007 con Rendition detenzione illegale aveva affrontato la pratica della Cia di sequestrare sospetti terroristi con un cast notevole che rispondeva ai nomi di Jake Gyllenhaal, Meryl Streep, Reese Witherspoon e Alan Arkin.

Anche questa pellicola si avvale di un cast prestigioso in primis il compianto Alan Rickman nella sua ultima interpretazione cinematografica (il film è dedicato a lui) nel ruolo del generale Benson, Helen Mirren è il colonello Powell, mentre nel ruolo del pilota del drone troviamo la star della serie televisiva Breaking Bad Aaron Paul, nei panni del pilota Steve Watts.
La storia parte da una missione contro una cellula terroristica a Nairobi guidata dal colonello inglese Powell con l'occhio del drone guidato dal lontano Nevada negli USA dal pilota Watts, l'obiettivo è semplice eliminare la cellula. Nella war room londinese il generale Benson si troverà di fronte al primo ministro inglese con il drammatico dilemma morale di lanciare il missile per eliminare la cellula ma con la quasi certezza di eliminare degli innocenti, in particolare una bimba che si trova proprio durante l'azione a pochi passi dal bersaglio.

Il regista ci porta dentro un complicato calcolo di probabilità, regole d'ingaggio, morale, semplice cinismo con uno scontro al vertice tra i militari e i politici sulla assoluta necessità di colpire l'obiettivo per eliminare una futura minaccia ai proprio cittadini sul territorio metropolitano e l'inevitabile consapevolezza attraverso le immagini rimandate dalle videocamere piazzate da una spia sul luogo e dall'occhio nel cielo (il titolo originale, infatti, è Eye in the Sky). Hood ci mostra quello che sembra quasi fantascienza, ma in realtà si tratta di ritrovati tecnologici usati già da anni sul campo con droni capaci a chilometri di colpire indisturbati, microcamere della dimensioni di un insetto capaci di volare e penetrare luoghi inaccessibili per mostrare le immagini del nemico.
Il dilemma etico è più attuale che mai alla luce dei recenti attentati terroristici, il regista senza mezzi termini pone lo spettatore al centro di questo dilemma è giusto eliminare una bambina innocente per giustificare l'eliminazione dei terroristi? La scelta di una war room inglese rende tutto lo scontro gerarchico fin troppo vero, c'è da chiedersi se il regista abbia pensato alla war room inglese che decise il bombardamento terroristico di Dresda nel febbraio del 1945 dove gli stessi piloti espressero perplessità per l'insolita missione che portò alla totale distruzione di un città tedesca con immense perdite tra i civili. Del resto i piloti attuali di droni è stato accertato in una recente ricerca soffrono di notevoli stress e dilemmi morali che il film ben rappresenta attraverso il pilota Watts.

In conclusione una splendida pellicola che affronta perfettamente il problema su cosa sia giusto fare o conviene fare, con il paradosso di trovarsi comodamente seduti su una poltrona davanti ad uno schermo come uno dei tanti spettatori.


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