El campo
Opera prima dell’argentino Herman Belon, "El campo" racconta la vita quotidiana di una giovane coppia di sposi che decidono di trasferirsi in campagna con la loro figlioletta di un anno e mezzo, Matilde. Lontani dalla confusione e dal caos della vita cittadina i due hanno delle reazioni opposte e così se Santiago, interpretato da Leonardo Sbaraglia, resta affascinato dalla calma e tranquillità della campagna che lo accoglie amorevole e pacifica, dall’altra parte Elisa, interpretata da una bravissima Dolores Fonzi, si trova spaesata, spaventata dai rumori della casa vecchia a scricchiolante e dalle pochissime persone che la circondano. Amore e odio, pace e paura sono i sentimenti contrapposti che cominciano a minare la stabilità della coppia. Ombre sopite, rumori sconosciuti creano una tensione latente che potrebbe sfociare in una sorta di horror spettrale, in un thriller o in uno psicodramma, ma così non accade, viene meno grazie ai ritmi appassionati dei due sposini che ogni notte sembrano ritrovarsi fra le lenzuola. La nevrosi e la paura di Elisa va ogni giorno crescendo scatenandosi in momenti di rabbia e di irrequietezza, solo quando riuscirà ad aprirsi al mondo che la circonda troverà la forza di capire cosa le sta accadendo. La campagna così pacifica e accogliente è per lei un mondo solitario, isolato, che la esclude, come una prigione da tutti e da tutto e la spinge ad avere paura della vita e della morte, a tutto questo si aggiunge forse un’insoddisfazione personale di mancata realizzazione professionale che questo luogo sembra precluderle. "El campo" è basata sulla dimensione quotidiana, tutto scorre lentamente e inesorabilmente ed è da questo che scaturisce la decisione del regista di utilizzare ritmi rallentati, al fine di ricostruire i ritmi di vita naturale. Ecco quindi lunghe sequenze sulle piccole e quotidiane attività, sul vento, sulla pioggia, sulla polvere e sugli animali. Emerge una dimensione bucolica, che affascina Santiago e snatura Elisa, ciò che lui vede bello, lei lo vede brutto e pericoloso. Non vi è orrore, ma c’è una dimensione minacciosa latente e così la campagna diventa una dei protagonisti del film, una creatura dal volto ambivalente in base al punto di vista di chi la guarda. E’ un ritorno alle origini che si conclude con la rassegnazione e la perdita di un sogno, il finale resta aperto e lasciato all’interpretazione dello spettatore. Non c’è lieto fine, perché ciò che interessa al regista è sottolineare la fragilità umana e le miserie umane. La trama è semplice ed è chiaro l’intento del regista di colpire lo spettatore a livello emozionale più che logico. I dialoghi sono scarni e ridotti all’essenziale e alla quotidianità, non c’è nulla di strano, non c’è alcun evento esterno che sconvolga le loro vite, sono loro stessi che alimentano la situazione di tensione non riuscendo a comunicare, a farsi ascoltare e ad ascoltare l’altro.
La frase:
"Se uno non vuole che succeda qualcosa di brutto, non succede, è così".
a cura di Federica Di Bartolo
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