Diapason

Il Manifesto del Dogma 95 stilato da un gruppo di cineasti danesi capitanati da Lars Von Trier è arrivato anche in Italia con il film di Antonio Domenici, Diapason.
Il regista passa attraverso tutte le regole del dogma - dieci in tutto, tra le quali ricordiamo riprese dal vero, macchina a mano, nessun effetto speciale, nessuna luce che non sia quella naturale - rispettandole tutte e raccontando due storie parallele che si sviluppano in una unica notte a Roma. Due storie per parlare di due mondi diversissimi, opposti. La prima è il viaggio di un gruppo di ragazzi di colore che attraversano la notte tra droga, furti e deviazioni sessuali ed esistenziali. L'altra invece è più delicata, senza la disperazione della prima: quindi non una corsa in macchina ma una passeggiata con cui si commemora sia con le immagini la città e i suoi monumenti sia con le parole di Marcello, sessantacinquenne direttore di produzione cinematografica, che nel tentativo di convincere una giovane attrice americana ad accettare il ruolo di un film, rievoca la grande e passata stagione del cinema italiano raccontando episodi della Dolce Vita.

In realtà la storia non è che un leggero e pressoché inesistente filo di seta e la sceneggiatura, poverissima non aiuta. I dialoghi carenti e troppo spesso immotivati sembra debbano solo coprire gli altrimenti lunghi silenzi.
Un film non deve necessariamente essere innovativo o magari inventivo, ma neppure sterile e inefficace. Il Dogma elimina indubbiamente tutti gli orpelli cinematografici e proprio in nome di questa mancanza non può in alcun modo demistificare o banalizzare la sceneggiatura su cui poggia tutto il film.
Le storie che Domenici racconta sono basate esclusivamente su dei cliché e la totale mancanza d'un legame tra loro - il fatto di essere diametralmente opposte non risalta tanto da essere una caratteristica - ha il solo risultato di far perdere il senso dell'orientamento, se mai lo spettatore sia riuscito a trovarlo. Non c'è alcuna verità e in nessun momento. Imperdonabile è soprattutto cercare di rendere profondi o veri i personaggi mettendo loro in bocca solo esclamazioni in gergo e filosofia spicciola fatta di luoghi comuni.

Valeria Chiari

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