In My Country
Langston Whtfield (Samuel Jackson / Pulp Fiction, SHAFT), giornalista del Washington Post, viene spedito in Sud Africa dal suo editore per intervistare Col. De Jager (Brendan Gleeson Gangs of New York, Ritorno a Cold Mountain), il più famoso torturatore della polizia durante il periodo dell'apharteid, e seguire le udienze della commissione per la verità e la riconciliazione. In quei posti assolati conosce Anna Malan (Juliette Binoche / Il Paziente Inglese, L'amore che non muore), poetessa Afrikaans, la quale segue anche lei le udienze per conto di una radio. Fra i due nasce subito un attrito, che, naturalmente, si trasformerà in amicizia.
Girato da John Boorman questo "In My Country" ripercorre i "processi" intercorsi dopo l'apartheid e la venuta al potere di Nelson Mandela, contro la polizia che deteneva il controllo nel sud Africa in quel periodo. Il regista, che aveva girato varie città del Sud Africa durante il periodo dell'apartheid ed aver ammirato il coraggio delle persone che si opponevano a quel tipo di regime, dopo aver letto il libro di Antjie Krog "Country of my Skull", decise subito di farne un film.
Juliette Binoche e Samuel Jackson danno forma, con il loro talento, alle figure dei due giornalisti, mentre Brendan Gleeson è il tremendo Col. De Jager. John Boorman rimane per me un cineasta inspiegabile, capace di toccare vette altissime tipo "Excalibur", "Anni 40", e cali di picchiata senza freno come "La foresta di smeraldo" e "Il Sarto di Panama". Indubbiamente il periodo più creativo lo ebbe all'inizio degli anni settanta prendendosi una meritata palma d'oro a Cannes per la migliore regia in "Leone l'Ultimo", con un sempre grande Mastroianni. Questa pellicola sembra decollare bene, le manovre sono giuste, c'è persino un velo d'ironia che non guasta mai, le scene delle udienze sono atroci quanto basta, insomma il volo procede tranquillo. Ma un acquazzone arriva all'orizzonte. Dopo una delle scene chiavi del film nella quale uno dei bambini sud africani abbraccia il suo torturatore, il filo dell'ironia si spezza, ecco che la lacrima cade giù, e con lei anche il nostro bell'aereoplanino. E il film prende la sua folle corsa verso l'oblio con una sequenza imbarazzante dopo l'altra, situazioni piagnucolose, che rasentano il patetico, incoerenti e improbabili, fino all'irreversibile tonfo finale.
Samuel Jackson fa la sua figura, chi può negarlo, con il taglio di capelli da coatto trendy basta che faccia una smorfia e si becca subito il suo otto in pagella. Ma Juliette Binoche, anche se ancora molto brava, non è più la ribelle sbarazzina di "Rosso Sangue", "Rendez Vuos" e "Gli Amanti del Pont Neuf" , non ha il più il volto del dolore imprigionato in "Film Blu", sembra che questa dipartita dalla sua patria l'abbia penalizzata più che arricchita, dal soporifero "Il Paziente Inglese" (Minghella rimane una altro regista "inspiegabile") al patinato "Chocolat". Speriamo che il titolo di quest'opera, appunto "In my Country" (Nel mio Paese, letteralmente), le sia di monito per farla tornare in posti a lei più cari, abbracciata da registi che sanno valutarla come dovrebbero.

Marco Massaccesi

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