Continental. Un film sans fusil
Ci sono film capaci di zittire tutti. Non una parola durante la proiezione, non una sillaba quando i titoli di coda scorrono sul grande schermo. Capita cosí che per uscire da questa fase di stallo bisogna attendere che qualche addetto alla sala tocchi la spalla di uno degli spettatori sperando che questo dia il via ad un passaparola collettivo che ha per oggetto la parola "sveglia". Il cinema avrá tanti limiti, ma talvolta riesce a fare di un gruppo eterogeneo di persone una "comunitá" con atteggiamenti simili come lo stropicciarsi gli occhi, l'alzarsi lentamente dalle poltroncine e mettere a fuoco le uscite ringraziando gli autori del film per l'ottimo riposo offertogli. Certo, quando si va al cinema si spera di uscire con un qualche arricchimento culturale, una riflessione su cui costruire proprie considerazioni, ma visto che la banalitá è sempre dietro l'angolo, la certezza di un proprio sogno, è pur sempre fonte di meditazione per ognuno di noi.
Indugiando sempre qualche secondo in piú su un qualsiasi dettaglio o scena, il canadese Stéphane LaFleur riesce infatti nella titanica impresa di dilatare tempi di racconto giá di per sé biblici. E non solo! La macchina da presa è cosí preziosa che gli unici due movimenti a lei concessi arrivano solo dopo un'ora e sono oltretutto consecutivi (insomma sprecano tutto il proprio effetto attesa-pathos): uno sguardo verso una medusa ripresa in un televisore e un ballo di anziani signori in una palestra. Per il resto solo camere fisse. Chissá, magari a disposizione della tróupe céra solo un treppiedi…Dialoghi solo se necessari, meglio i silenzi che banali battute. Le immagini da sole possono esprimere quasi tutto, giusto una considerazione (l'unica di tutto il film) originale come "Certe volte pensi di conoscere una persona e poi ti accorgi che è completamente diversa" deve essere detta a tutti i costi. Da grandi cinefili che apprezzano un film in modo direttamente proporzionale alla noia che esprime, non possiamo quindi che essere soddisfatti. Se un film riesce a parlare di solitudine, fragilitá e contraddizioni delle persone, riuscendo a mettere in scena quattro personaggi silenziosi ed enigmatici, scenografie spoglie, un senso di vuoto perenne e un finale (ma diciamo anche tutta una storia) che non dice nulla, ma che sicuramente significa tutto, non si puó non dare i giusti meriti a chi di dovere.

La frase: "Non puoi sentirti a posto con la testa in disordine".

Andrea D´Addio

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