Bright Star
Venticinque anni durò la vita di John Keats, poeta inglese tra i più celebrati, soprattutto dopo la morte, che condusse un’esistenza malinconica, oppresso dalla povertà e dalla tubercolosi. I suoi versi sono inni alla vita, odi romantiche e moderne che raggiunsero la perfezione proprio alla fine dei suoi anni, quando Keats, aiutato dall’amico Charles Brown, dopo un soggiorno nell’isola di Wight e un viaggio in Scozia, si trasferì nell’abitazione di Brown, in cui alloggiavano la giovane ricamatrice Fanny Brawne, con la madre e i due fratellini, Sammy e la piccola ‘Toots’. L’incontro con Fanny, dopo un’iniziale reciproca diffidenza - lei ne ignora la poesia e ne disprezza il carattere malinconico, lui la giudica una civettuola ‘alla moda’ - si trasforma in qualcosa d’altro dopo la morte, per tisi, del fratello di Keats, vissuto con partecipazione da Fanny. Giorno dopo giorno il legame tra i due si fa indissolubile, nonostante l’avversione per lei di Charles Brown e la povertà di Keats, che non può garantire alcun futuro alla ragazza. Dato che le condizioni di salute di Keats peggiorano, gli amici poeti gli pagano il viaggio e un soggiorno in Italia, dove il clima può essergli d’aiuto. I due innamorati devono separarsi per non vedersi mai più: John Keats muore un anno dopo, a Roma.
Bright Star, diretto e sceneggiato dalla neozelandese Jane Campion, il cui titolo si rifà a una delle odi più note di Keats, ha tutte le carte in regola per affascinare lo spettatore e incantare il cinefilo. Costruito come un poema, in cui i versi di Keats accompagnano le scene, come fuori campo, come farsi e correggersi della scrittura di Keats aiutato dall’amico Brown, o pronunciate dai due amanti, ancora in fieri, nel momento della creazione, suscitate dalla passione di Keats per la ragazza, Bright Star ripercorre gli ultimi anni della breve esistenza del poeta, senza la pretesa di essere un biopic, ponendosi come obiettivo il raccontare la nascita e le difficoltà di un profondo sentimento amoroso, reso certo eccezionale dai protagonisti ma non per questo meno universale.
Il film della Campion, oltre che un poema, è un quadro vivente, con scene che richiamano alla mente le tavole degli impressionisti, per colori, inquadrature, punti di vista, scene di vita campestre: la regista porta con ambizione sullo schermo la poesia di Keats, il suo essere romanticismo non fine a se stesso ma etico, il suo amore per il paesaggio, il suo farsi assorbire dalle passioni fino all’estasi, alla negazione di se stessi. Ci sono scene memorabili per suggestione e bellezza visiva in Bright Star: la felicità e l’ardore di Fanny dopo i primi baci con Keats; la difficoltà di comunicazione tra i due amanti ‘sorvegliati’; il loro passeggiare su un viottolo in un campo di grano; la costruzione di un futuro immaginario stesi castamente su un letto, guardandosi in faccia, entrambi in posizione fetale. La Campion protegge metaforicamente i due innamorati sotto una tela ricamata, in cui la coppia si inventa un’esistenza differente, un futuro condiviso: una tela di garza leggera, in cui la realtà lacera la costruzione, penetrandovi con la sua rozzezza.
Tutto è quindi perfetto, così come perfetti sono i protagonisti, la radiosa Abbie Cornish e l’umorale Ben Whishaw, coadiuvati da tutti i comprimari, ma la perfezione non si addice al sentimento amoroso e ai tumulti della passione: Bright Star è una fredda dissezione di una colta entomologa, che osserva senza partecipazione emotiva, prendendo appunti. Non si versa una sola lacrima in Bright Star, non si viene coinvolti né emozionati: eppure sulla carta si dovrebbe, tra poesie e quadri, tra vita e morte. La verità è che Jane Campion, come suo costume, non si sporca le mani. Impossibile non farlo parlando di sentimenti.
La frase: "Sogno che siamo due farfalle in estate con soli tre giorni di vita. Insieme a voi sarebbero più deliziosi di cinquant’anni di esistenza ordinaria.".
Donata Ferrario
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