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Be Kind Rewind - Gli Acchiappafilm
L’amore verso gli effetti speciali realizzati in maniera artigianale e che quindi tanto speciali non sono, l’idea che i sentimenti, le visioni, i sogni, le illusioni e le idee, si possano rappresentare non con la tecnologia più evoluta, ma con pochi elementi ben combinati, è da sempre alla base del genio di Michel Gondry. Se in "L’arte del sogno" questa sua passione e visionarietà non posava su una base, la sceneggiatura, così solida (come invece era stato precedentemente per lo straordinario "Se mi lasci ti cancello" sceneggiato da Charlie Kaufman) da andare oltre dalle comunque molto suggestive atmosfere ed evocazioni, "Be kind rewind" è prima di tutto un film ben scritto.
Ci sono due modi per vedere questa pellicola: il primo è godersela come una ben congegniata commedia dai molti sketch comici e ritmo sostenuto, un film di puro intrattenimento che scorre veloce come il divertimento, ma che poco dopo rischia la dimenticanza. La seconda modalità di visione richiede invece un pò più di attenzione e analisi.
Dietro l’idea della smagnetizzazione di tutti i nastri di una vecchia videoteca, e della realizzazione "amatoriale" dei remakes dei film perduti fatta dal commesso del locale Mos Def e dal suo pazzo amico Jack Black, c’è infatti la volontà di mostrare la magia del cinema: non solo opera d’arte, ma anche motivo di aggregazione sociale e ricreazione di un mondo che, anche se esiste solo sul grande schermo, si è pronti a crederci e a farlo proprio.
Quando a metà film tutto il quartiere si riunisce per scrivere la sceneggiatura del film che potrebbe salvare la videoteca, si decide di cominciare il tutto dalla morte del personaggio principale. Sarà allora impossibile non pensare che proprio così era iniziato il "Be kind rewind" vero e proprio. Questa è solo una delle chiavi lanciate allo spettatore perché comprenda come Gondry stia in realtà realizzando un film nel film. Il cinema è finzione, esiste solo se ci si vuol credere. E così lui fin dall’inizio ci fa capire che anche i personaggi capitanati da Jack Black sono il remake amatoriale di un’ altra pellicola o della realtà stessa. Lo dice uno dei trailer del film (che trovate su YouTube) in cui Gondry stesso parodizza la sua opera, lo dice Jack Black quando nella videoteca rifà la stessa scena che fece nel negozio di dischi di "Alta fedeltà" otto anni prima, lo dimostra Sigourney Weaver che quando entra in scena non è l’offesa protagonista dei Ghsotbusters, ma un’improbabile avvocato degli Studios, lo capiamo ancor più quando il "radioattivo" Jack Black disturba non solo la televisione, ma anche la nostra immagine sullo schermo quando passa davanti ad una macchina da presa che a quel punto diventa oggetto materiale del film e non occhio esterno.
Il cinema sta cambiando, il dvd con i suoi extra sempre più ampi e tesi a svelare i trucchi e le tecnologie dietro ad un’immagine fantastica e gli effetti speciali sempre più elaborati per dare la maggior verosimiglianza possibile a storie ogni giorno più fantastiche, stanno forse facendo perdere di vista che quello che fa di una persona uno spettatore appassionato, un amante del cinema, delle storie e delle immagini. E’ la sua voglia di crederci, il suo riporre fiducia, occhi e cuore ad autori che cercheranno di emozionarli che fa vivere una pellicola. Lo spettatore è attivo (e qui questo concetto è espresso simbolicamente dal fatto che, nel finale, gli spettatori sono anche i realizzatori del film), e non semplice pedina, oggetto di studi di mercato, elemento passivo nella composizione e apprezzamento di una pellicola. Tanti e altri sono i riferimenti a questo e ad altri concetti, lo spazio di una recensione non li contiene tutti, preme sottolineare però come la regia di Gondry tenga benissimo in mano tutto il materiale, ben combinando belle sequenze (come il divertente piano-sequenza delle parodie), a sostenuti dialoghi e azzeccate direzioni degli attori.
Gondry fa tutto questo divertendo, scherzando con e sul cinema, strizzando l’occhio al cinefilo e allo spettatore meno smaliziato. Non stringerà lo stomaco come in "Se mi lasci ti cancello", ma sorriderà al cuore di molti.
La frase: "Non ho sabotato la centrale, è la centrale che ha sabotato me!".
Andrea D’Addio
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