Before Midnight
La storia inizia nel 1994, quando Linklater gira "Before Sunrise", una storia d’amore tra due ragazzi, un americano e una francese, ambientata nell’arco di una giornata e nata da un incontro in treno.
Si trattava di un piccolo film tutto basato sul dialogo e sull’alchimia dei suoi protagonisti, Ethan Hawke e Julie Delpy. Un’opera con richiami al cinema francese per la scelta dei tempi e l’impostazione quasi teatrale dell’azione e basata su un continuo slittamento di piani, dal privato all’universale.
Nove anni dopo il regista e gli attori tornano sulla storia decidendo di svilupparla in un trittico, dove il lasso di tempo effettivo che separa la realizzazione dei due film coincide con quello della storia: ecco allora "Before Sunset", girato quasi in tempo reale, denso di piani-sequenza e con una struttura narrativa ancora più essenziale. In questo caso i due protagonisti si ritrovano a Parigi e l’incontro diventa un’occasione di confronto tra due individualità insoddisfatte e degli effetti che lo scorrere del tempo ha avuto su di esse; una riflessione sulle scelte e sull’ineluttabilità del tempo, pervasa da una malinconia assente nel primo film e che rafforza ancor di più il legame tra intimità, piccolo microcosmo individuale, e il valore universale dei sentimenti e del destino dell’uomo.
Tra i due film, inoltre, Linklater realizza un’opera che rafforza la propria poetica: "Waking Life", un’affascinante riflessione sui sogni, sul senso delle proprie scelte e dell’effettiva libertà d’azione di un individuo; un lavoro che porta all’estremo la struttura narrativa di "Before Sunrise", lasciando che siano soltanto i dialoghi a scandire l’azione.
A posteriori, quindi, i due film acquistano un senso ancora più forte, più personale e anche più ambizioso, che risulta comunicativo grazie alla straordinaria sintonia tra regia, attori e scrittura e ad una consapevolezza di intenti e un bisogno di raccontarli che pervade tutta l’opera.
"Before Midnight", quindi, rappresenta (forse?) la conclusione di questo percorso: i due ragazzi sono ormai dei quarantenni, hanno due figli e si sono trasferiti a Parigi. Il momento che Linklater decide di raccontarci è la fine di un’estate, quando la famiglia sta per ritornare in Francia e la coppia si ritaglia un’ultima serata insieme, dove poter parlare e parlarci del loro rapporto. Questa volta il carico di tensione e l’insoddisfazione di fondo che pervadeva il film precedente è stemperata dall’armonia della coppia, che si trova comunque ad affrontare situazioni delicate, dilemmi quotidiani che hanno il potenziale distruttivo di una bomba. Linklater, Delpy e Hawke (ancora una volta autori della sceneggiatura) ci mostrano l’equilibrio precario e spesso illusorio che attraversa l’esperienza di un uomo e dei facili condizionamenti cui la nostra mente può andare in contro. Decidendo di assecondare lo scorrere del tempo e di dilatare in maniera così radicale una storia, narrano tramite vuoti, tramite un’assenza che viene riempita dalla nostra esperienza di spettatori e individui, ponendoci come co-autori della loro storia. Una scelta che ha una forza comunicativa eccezionale e che permette un’identificazione totale con quello che vediamo sullo schermo. E, ovviamente, veicolata da due interpretazioni autentiche che ci danno l’impressione di introdurci davvero nell’intimità di due individui.
"Tempus fugit", sembra dirci Linklater, come l’alba, come il tramonto, le nostre esistenze sono precarie e si rigenerano di volta in volta, lasciandosi alle spalle opportunità, costruendosi su un accumulo di rimorsi, in un processo che investe ogni aspetto della vita, dalla singola persona ai cambiamenti sociali, e la libertà individuale sta nella scelta di un punto di vista, nella prospettiva da cui indagare le proprie esistenze.
E sono i brevi momenti che fanno da collante al cambio di scena a restituirci il senso di questo piccolo affresco: uno su tutti, quando Julie Delpy guarda il sole tramontare, sembra stia cercando di cristallizzare gli ultimi istanti ("it’s still there") e di rallentarne la corsa, e, una volta sparito l’ultimo raggio di luce, il suo volto affonda nella malinconia, diventa sempre più cupo, per poi ritrovare un accenno di serenità quando si volta verso Ethan Hawke, partecipe anche lui di questa presa di coscienza.
La frase:
"It’s like sunrise and sunset, then it disappears".
a cura di Stefano La Rosa
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