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A Bigger SplashLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Riccardo Favaro06 settembre 2015
Tortuosi sono i sentieri che portano all'autorevolezza stilistica, tortuosi e talvolta ingannevoli.
Marianne Lane è una rockstar temporaneamente afasica (per via di una recente operazione all'apparato fonatorio) che trascorre le sue vacanze a Pantelleria con il compagno Paul. Il loro soggiorno sull'isola viene condito improvvisamente dall'arrivo dell'ex della donna, Harry Hawkes, accompagnato dalla figlia Penelope, una ragazzetta tanto affascinante quanto sociopatica. La permanenza imbarazzata dei quattro presso la villetta della cantante diventerà motivo di confronto, scontro, evocazione di vecchie ma dolorose ferite e soprattutto scoperta o riscoperta di sentimenti e valori assopiti, fino a tragiche conseguenze. “A bigger splash” non fa poi così tanto rumore, questo va premesso fin da subito. Non fa rumore perché non impressiona, non lascia il segno, non si fa realmente carico delle grandi responsabilità che complessivamente pare volersi assumere. Il lavoro è un rifacimento de “Le piscine” di Jacques Deray e il plot di base è facilmente ricostruibile mediante il più convenzionale schema “coppia A” e “coppia B” si incontrano, si mescolano e collidono. Fosse solo questa la questione, sarebbe più agevole tirare le somme rispetto all'efficacia delle scelte di Guadagnino, invece sfortunatamente tutto quello che viene aggiunto alla struttura elementare non solo è “gratuito” ma risulta pure gravoso e opprimente. Tra i tanti esempi si può citare la caparbietà con cui tutto viene ricondotto ad un glam rock totale e totalizzante che sembra, più che un punto di partenza e uno stimolo, un mezzuccio per rendere accattivante personaggi a tratti decisamente sbiaditi, oppure si potrebbe facilmente parlare di un'ambiente, un sottofondo con vista sulla cronaca odierna o su incomprensibili richiami alla politica e alla militanza di sinistra, una sottile (e personalmente insopportabile) parabola sugli sbarchi di migranti dal nord Africa che non aiutano certo ad avere una chiara lettura del film e si impongono come vezzi di cui avremmo fatto volentieri a meno. Tuttavia il problema di “A bigger splash” è ben più consistente e si identifica con una ricerca di estetica personale ai limiti dell'impalpabile, con continue proposte di echi che spaziano tra l'intimistico e l'hipster senza alcun riguardo, con flashback di discutibili gusto sparsi qua e là a frammentare una linea narrativo-temporale già di per sé debole, porzioni intere di sceneggiatura gettate al vento per tentare di colpire con coniglietti bianchi e cilindri del tutto inappropriati, con ossimori visivo-uditivi (aiutati dalla soundtrack) davvero stonati. La nota positiva (giusto per salvare qualcosa, sia chiaro) è certamente il grosso lavoro di un cast vivace capitanato dalla generosa Tilda Swinton (Marianne) e da un Ralph Fiennes (Harry) più frizzante del solito, accompagnati da Matthias Schoenaerts nel ruolo di Paul e Dakota Johnson nel ruolo di Penelope, ma la loro fatica è vana se rapportata alle grosse lacune stilistiche del film. E come se non bastasse l'ironia che viene ostentata pare davvero patetica (Corrado Guzzanti nel finale non può salvare proprio nulla), a maggior ragione in un’opera che per quasi tre quarti sembra volersi staccare dal canone di genere salvo poi chiedere disperatamente aiuto ad atmosfere thriller per far tornare i conti. Ma i conti non tornano e di “big” ci sono solo i fischi. La frase dal film:
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