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Quel treno per Yuma
Era il 1957 quando Delmer Daves realizzò per il cinema “Quel treno per Yuma”, tratto da un racconto del 1953 di Elmore Leonard “3:10 to Yuma”. Dopo 50 anni uno dei classici del cinema western torna a rivivere ad opera di James Mangold, regista di pellicole come “Quando l’amore brucia l’anima”, “Heavy” e “Ragazze interrotte”. Per la nuova versione del film western Mangold ha “reclutato” due grandi attori del cinema americano moderno: il premio Oscar Russel Crowe e Christian Bale. Il primo veste i panni dello spietato criminale, terrore del West, Ben Wade, famoso per le sue sanguinose rapine. L’altro invece interpreta un onesto contadino, ex tiratore scelto dell’Esercito dell’Unione, Dan Evans, padre di famiglia tornato a casa dalla guerra, che si è trasferito in Arizona con la moglie e i due figli, forse in cerca di fortuna o di un clima migliore. Due uomini diametralmente opposti, ma con la stessa idea della società che li circonda e simili anche per la grande forza d’animo e la fermezza che in qualche modo li distinguono dalla massa. Ben Wade è un bandito sicuro di sé, che si gode la vita tra una rapina e l’altra, ma al tempo stesso è un “filosofo”, conosce la Bibbia a memoria e da questo suo sapere affronta il mondo in maniera diversa dagli altri. E’ il Dio del Vecchio Testamento ad averlo colpito, non certo quello misericordioso del Nuovo, per cui, non credendo in un futuro migliore, persegue senza remore il denaro e i suoi interessi con sguardo fiero e piglio sicuro.
Il suo antagonista, Evans, invece è un uomo timorato di Dio e fa di tutto per essere un buon marito e un buon padre, ma la siccità e i debiti lo attanagliano in una morsa sempre più stretta e quando la moglie Alice (Gretchen Mol) e il figlio Will (Logan Lerman) lo guardano tra il disprezzo e il dubbio, la sua fiducia in sé e la sua forza cominciano a vacillare. Il destino però ha altri piani per lui e lo fa imbattere in questo odioso assassino, dandogli la possibilità di cambiare le sue fortune e saldare i debiti... la felicità è forse a portata di mano? Così sembra, ma certamente sarà un’ardua impresa scortare il bandito dalla cittadina di Bisbee a Contention e caricarlo sul treno-prigione diretto a Yuma, in Arizona, dov’è il Tribunale Federale. Inizia così un’odissea di tre giorni. Il rappresentante della società ferroviaria Southern Pacific Railroad, Grayson Butterfield (Dallas Roberts), ingaggia diversi volontari tra cui appunto Dan. A guidare la spedizione c’è il mercenario timorato di Dio, Byron McElroy, interpretato da Peter Fonda, cui si accompagnano il duro e antipatico Tucker (Kevin Durand) e il veterinario Doc Potter (Alan Tudyk), oltre il quattordicenne Will Evans che, disubbidendo al padre, si unisce al gruppo. E’ qui che la pellicola si discosta completamente dall’originale, infatti mentre nel film del 1957 il viaggio era solamente raccontato, ora nella nuova versione è rappresentato attraverso un mescolarsi di scene d’azione e narrazione drammatica sempre condita da una buona dose d’umorismo. Sono introdotti nuovi personaggi come appunto quello del mercenario, anche lui un assassino ma in teoria dalla parte della legge, che rappresenta una vera minaccia per Wade. Nella trama ci sono scene e località diverse dall’originale, come il passaggio per il Canyon in territorio Apache (dalla parola zuni Apachu che significa "nemico"), oppure il campo di minatori cinesi intenti a scavare le montagne per aprire la strada al treno. Il film ha in sé tutte le caratteristiche del western, come i buoni e i cattivi che si fronteggiano, anche se fra i buoni appaiono figure che non sono propriamente “buone”, ci sono ancora pistole e fucili, saloon, così come il tema della giustizia e della nuova frontiera, tutto sapientemente mescolato con un pizzico di battute ironiche e salaci. Il western sembra tornare a vivere ma visto con uno sguardo diverso: ora è l’uomo e il suo sentimento a far da protagonista, non più la guerra fra il bene e il male e i duelli sotto il caldo sole di mezzogiorno sono ormai del tutto scomparsi. “Quel treno per Yuma” non può quindi essere definito un vero e proprio remake, quanto il racconto attraverso immagini di ciò che avviene nella vita e nei cuori del buono e del cattivo, con un finale del tutto diverso e molto più realistico. Il film è in definitiva convincente, anche se non ricrea la magica atmosfera dei western di Sergio Leone o di John Wayne, forse anche per il ritmo lento, che non riesce a creare la tensione dello scontro in campo aperto.
La frase: "Fai una buona azione una volta e non ne puoi più fare a meno".
Federica Di Bartolo
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