28 giorni dopo
Danny Boyle ha mostrato al mondo le sua qualità con Trainspotting per poi propinarci una delle più grandi delusioni cinematografiche: The beach. Ora per la pellicola del riscatto si affida ad una sorta di remake personalizzato de La notte dei morti viventi. Pessima idea. Questo film non è altro che il manifesto della povertà d’idee del cinema attuale. Non si può pensare di “sfornare” trecentosessanta film l’anno mantenendo un livello minimamente decoroso. Dopo aver raschiato il fondo del barile delle sceneggiature, aver adattato i più disparati fumetti (ghettizzati per anni), aver fatto remake di pellicole di vari pesi, l’ultima frontiera è la rivisitazione dei grandi classici e Boyle non è certo da solo su questa strada.

Un gruppo di animalisti durante un’azione contro uno dei vari laboratori-lager libera delle scimmie infettate da un virus sconosciuto che si dimostrerà ben più pericoloso di quanto pensassero. Venti giorni dopo troviamo Jim (Cillian Murphy / Come Harry divenne un albero), appena ripresosi dalla terapia intensiva, che cammina in una Londra totalmente abbandonata, deserta, come se tutti fossero fuggiti in fretta. Jim continua a muoversi in questo panorama apocalittico dominato dalle architetture ma del tutto privo di esseri umani. La desolazione della città riflette il suo io sconsolato che non riesce a ritrovare la familiarità di ciò che ha lasciato.
Quello che sembra un brutto sogno si trasforma rapidamente in un incubo: pochi sopravvissuti in una chiesa, forse l’ultima vestigia d’umanità… no! Una mandria di invasati pronti a sbranare Jim senza motivo.
La salvezza si presenta inaspettatamente con l’aiuto di Selena (Naomi Harris) e Mark (Noah Huntley) che salvano l’imprudente Jim dai contagiati. Dopo varie peripezie i sopravvissuti, insieme a Frank (Brendan Gleeson) e sua figlia Hannah (Megan Burns), partono, in una sorta di viaggio catartico, alla volta di Manchester dove un’unita di soldati al comando del maggiore West (Christopher Eccleston) sembra avere una cura per l’epidemia.

Il film si muove costantemente a cavallo tra lo splatter (neanche tanto di qualità) e l’analisi sociologica che, se nella prima parte indugia sui sentimenti del singolo, nella seconda tenta l’impervia strada della denuncia del fenomeno del “branco”. Peccato perché la pellicola, benché girata con attori pressoché sconosciuti, sotto l’aspetto tecnico-realizzativo è di sicuro peso. L’utilizzo del digitale enfatizza bene il clima apocalittico di una Londra affascinante nel suo deserto totale (ottenuto con riprese sempre all’alba) e Boyle riesce veramente a convincerci che non ci sia più nessuno sulla faccia della terra. Purtroppo alla fine questa novella SARS finirà per tenere lontani gli spettatori a meno che non vogliano imbottirsi di pillole di luoghi comuni e iniezioni di banalità.

Curiosità: durante la passeggiata per la Londra deserta di Jim in una sequenza il Big Ben segna le otto e un quarto ed in un’altra le sei e quaranta.

La chicca: quando i profughi arrivano con il taxi all’accampamento militare la sbarra con il filo spinato viene aperta da due soldati, uno dei quali è il nero Mailer che però poi troviamo incatenato nel cortile perché infettato due giorni prima.

Indicazioni: Per i nostalgici degli zombies.

Valerio Salvi

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