24 City
Cina. Ai nostri giorni.
24 City è il nome che viene dato ad un lussuoso complesso residenziale costruito sul luogo della fabbrica 420, una cittadina operaia modello nella città di Chengdu che, per oltre cinquant’anni, ha radunato al suo interno le vite e le aspirazioni di centinaia di operai.
Otto personaggi testimonieranno la loro esperienza nella fabbrica 420: attraverso le loro parole rintracceremo i segni della Cina di ieri, di oggi e le indicazioni del futuro.
Jia Zhang Ke, il vincitore del Leone d’oro 2006 con Still Life, torna sugli schermi con 24 City, che vuole essere il suo tentativo di filmare e decifrare la storia della Cina attraverso una sorta di documentario che è anche fiction. Infatti, degli otto testimoni, i cinque lavoratori sono reali protagonisti della vicenda, mentre le tre donne (tra cui Joan Chen) sono attrici, che quindi "fingono" le testimonianze, in un intreccio di racconti in cui è impossibile discernere il reale dal fittizio. Questo espediente è il filtro che il regista usa per farci intendere la complessità dell’odierna Cina, con tutti i suoi contrasti, le sue ombre e le sue luci, quasi si entrasse e si uscisse da un palcoscenico senza rendersene conto, senza sapere dove è reale e dove è sogno.
Un film a suo modo struggente, malinconico, sottolineato dalle musiche dolenti, dalle riprese di aree dismesse, in via di distruzione: Jia Zhang Ke sa maneggiare con cura la nostalgia, sa riprendere con la giusta luce gli oggetti di un passato che non c’è più, le minuzie di un quotidiano che va disgregandosi e che pare assorbire le generazioni che, di quel quotidiano, erano i protagonisti. Tre generazioni completamente differenti, tre visioni del mondo in cui, ad una produttività destinata e dedicata con orgoglio allo Stato, si sostituisce un orgoglio più individuale, di costruzione di un qualcosa che dia un senso al proprio io.
Nessun giudizio da parte del regista: soltanto un atto d’amore verso un Paese in fermento.
Lo spettatore che affronterà la visione del film deve attendersi molte parole, molti sospiri, espressioni e gesti, molte lente riprese nella fabbrica, nel seguire l’intero cammino per la strada di un testimone: il film di Jia Zhang Ke è un placido e malinconico fiume che scorre lento. Forse troppo.

La frase: "Quando hai qualcosa da fare invecchi con più lentezza".

Giulia Baldacci

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