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Zombie Strippers
L’idea di un prodotto chimico top secret che finisce per trasformare in pericolosi zombi gli elementi-cavie dell’esercito che sarebbero dovuti diventare semplicemente degli invincibili soldati non è certo nuova, se pensiamo che già nei lontani Anni Trenta qualcosa di simile si era visto in "Revolt of the zombies" di Victor Halperin e, in tempi più recenti, nei vari episodi de "Il ritorno dei morti viventi".
Il lungometraggio di Jay Lee, però, più vicino nello spirito proprio alla non troppo seria saga iniziata a metà Anni Ottanta da Dan O’Bannon che ai classici di George A. Romero, ben s’innesta nel panorama bellico d’inizio millennio tirando satiricamente in ballo, in un futuro prossimo, la figura del presidente americano George W. Bush, per poi mostrare un soldato infettato che, fuggito dai laboratori di ricerca militare, s’intrufola in un sexy club illegale dove morde l’acclamatissima spogliarellista Kat, nei cui panni (decisamente pochi, in verità) troviamo la porno-diva Jenna Jameson.
Le conseguenze vogliono che la neo zombie stripper, la quale non esita ad esibirsi in una lap dance ricoperta di sangue, finisca per riscuotere ancor più successo tra i clienti del posto, spingendo le invidiose colleghe ad intraprendere la via del contagio, mentre a mancare, tra lodevoli effetti speciali di trucco, equipaggio armato alla "Resident evil" ed abbondanza di tette al vento (e tanto silicone, precisiamo), non sono certo evirazioni a morsi, crani scoperchiati e perfino palle da biliardo lanciate tramite la vagina.
E’ chiaro quindi che, tra horror e humour (mix non nuovo per il regista e sceneggiatore, se pensiamo al precedente "The slaughter", del 2006), ci troviamo dinanzi ad un movimentato e divertente b-movie girato per lo più in interni e debitore in maniera evidente alla lezione di Quentin Tarantino e Robert Rodriguez, richiamati sia nella trama fin troppo simile a quella di "Dal tramonto all’alba" che nel look generale vicino a quello di "Planet terror", dal quale sembra riprendere perfino le dominanti verdastre della fotografia.
E, anche se si lascia tranquillamente intuire una certa caduta di ritmo nella parte centrale della vicenda, a nobilitare il tutto provvede la presenza del grande Robert "Freddy Krueger" Englund, il quale, nel ruolo del cinico proprietario del club, sembra incarnare quel disgustoso capitalismo (solo a stelle e strisce?) che fa(rebbe) del sesso e della violenza una rigogliosa fonte di guadagno.
Proprio l’aspetto che il film, tra splatter e risate, attacca principalmente.
La frase: "La nostra migliore spogliarellista è stata rianimata e si nutre della carne dei nostri clienti".
Francesco Lomuscio
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