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War Dance
Storia toccante di tre ragazzini, Dominic Rose e Nancy che intendono partecipare ad un festival di musica e danza allo scopo (in realtà, con la speranza) di distrarre il proprio popolo dalla guerra che attanaglia il Nord Uganda. Il film documentario di Sean e Andrea Nix-Fine si sofferma in una delle città colpite, da oltre un ventennio, dalla guerra civile della LRA (Lord Resistance Army), e più recisamente in Patongo. La cittadina ugandese infatti, è quella che negli ultimi anni ha subito più vittime, tra queste moltissime sono stati bambini. Da lì, i registi seguono il viaggio dei tre protagonisti vero la capitale, dove sono attesi per ballare al Kampala Music Festiva, il più importante festival del Paese e che per molti rappresenta anche la possibilità di una nuova vita.
In realtà la storia che c’è dietro questo documentario è piuttosto difficile da spiegare e da capire per chi non è già al corrente della situazione difficile africana di questi ultimi trent’anni. Per quelli che ne sono completamente all’oscuro “War Dance” offre un ritratto commovente e molto malinconico del “territorio nero” dove il ballo viene visto come sogno e la vita come speranza.
La regia segue la narrazione su due piani ben distinti. Nel primo il viaggio dei tre bambini verso la capitale; nel secondo la spiegazione del loro passato e della loro drammatica infanzia. Ed è naturalmente proprio in questa fase che le immagini si fanno più crude e decisamente amare. Ma quello che colpisce sono anche le frasi e il modo in cui vengono pronunciate dai profughi, dai prigionieri, da tutte le vittime di quella guerra. Non c’è compassione, non c’è speranza, né forza emotiva o rabbia. Quella, semmai, ha lasciato lo spazio alla consapevolezza e alla cognizione di una vita disperata e che non ha più la forza di esprimere nulla per nessuno. Fratelli o amici che siano. Tanto, si sa, probabilmente moriranno tutti.
Ingoiamo il boccone.
Insomma, il documentario di Sean e Andrea Nix-Fine, trionfante sia al Sundance Film Festival che al Secondo Festival del Cinema di Roma, appassiona. Regia chiara, ma dinamica e una narrazione non lineare, tutti elementi la cui unione fa emozionare e commuovere.
Documentario sentito quanto riuscito, che apre gli occhi e stringe il cuore.
La frase: "…è difficile credere alla nostra storia…".
Diego Altobelli
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