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Viva l'Italia











Un ottimo cast, un tema quanto mai attuale e una commedia: bastano questi tre ingredienti per creare un film che faccia capolino sopra le righe del cinema italiano? Massimiliano Bruno scommette e il banco di prova sarà, al solito, il botteghino, che gli darà torto o ragione riguardo alla sua abilità registica, certo, ma anche riguardo la sua lettura sociale e politica della nostra Italia in piena crisi. Crisi etica e soprattutto politica: tra le righe del plot scritto con Edoardo Falcone si intravedono molte critiche feroci al sistema che viene additato come il "male da cui si guarisce" solo nella fantasia leggera della commedia. La produzione è ambiziosa perché punta ad essere una commedia impegnata e non lo nasconde e, anzi, lo sottolinea con il titolo, con la trama, che porta la politica dentro la narrazione – mossa quanto mai azzardata – e con la risoluzione nel finale. Nonostante, infatti, la prima parte del film passi con leggerezza con molte strizzate d’occhio al cabaret cui tanto si ispira la commedia italiana contemporanea, i toni man mano sfumano dentro un riso amaro che davvero ricorda da vicino l’umore delle grandi commedie degli anni ’60, come lo stesso regista auspica. E il finale lascia un retrogusto che di rado si percepisce di questi tempi: i protagonisti vengono assolti dalla trama ma decisamente condannati dalla vita e additano la strada dove viene condotto chi passeggia a braccetto con il malaffare. Tutti perdono in questo film, anche se con il sorriso. È difficile trovare la speranza, se non forse nelle relazioni risanate e in un primo mea culpa che tutti i personaggi sono costretti a compiere; forse è proprio questo il suggerimento del regista a tutta l’Italia. Indubbiamente è un conto amaro e molto salato quello che viene presentato dal film alla classe dirigente: una vera e propria condanna senza corte d’appello. E questo pubblico ministero accoglie nelle sue fila tutto il cast artistico che si esprime in questa decisa direzione: Michele Placido è la punta dell’iceberg del film sotto la cui superficie circolano malumori e frecciate degli altri interpreti. Gassman, Bova, Angiolini accettano la sfida di una prova impegnativa anche se non eccessivamente pretenziosa e portano al termine l’interpretazione con la rabbia del popolo deluso e arrabbiato. Musiche tipicamente italiane, forse un po’ sopra le righe, ma glielo perdoniamo. La domanda che ci si pone è: il film veramente veste i panni della rabbia contro la casta? Incarna il pensiero del popolo? Propone concretamente una reazione? Ai posteri la sentenza.

La frase:
"Che paese de mmerda!".

a cura di Matteo Brufatto

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