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Visages villagesLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Leonardo Mezzelani23 marzo 2018Voto: 8.5
Cosa succede quando due artisti provenienti da ambiti e generazioni differenti si incontrano casualmente? Quando questo fortuito incontro innesca un dialogo sulla vita, la vecchiaia, la giovinezza e l’arte?
Queste sono le premesse dalle quali parte “Visages, Villages”, docu-film nato dalla collaborazione tra Agnès Varda, una delle mamme della Nouvelle Vague (oltre che prima donna ad essere premiata con un Oscar alla carriera), e JR, artista visuale parigino specializzato nel collage fotografico. Il film, candidato agli Oscar 2018 per la categoria “Miglior Documentario”, segue il viaggio di questi eccentrici personaggi, così distanti e così vicini, a bordo di un “furgoncino macchina fotografica”, dal nord al sud della Francia. Il loro scopo? Scoprire persone e storie da poter catturare nell’eterno attimo di uno scatto fotografico. “Che cosa faremo?” chiede Varda al giovane artista, che le risponde: “Immagini, insieme. Ma in modo diverso”. Parte così un documentario on the road che li porterà a visitare gli angoli più sperduti e affascinanti del loro paese, alla ricerca dei veri volti, quelli che raccontano una storia. Passando per fattorie, un - quasi – completamente disabitato villaggio minerario, una salina con i suoi innumerevoli operai, i due lasceranno sempre il loro segno, la loro arte. Fin qui nulla di nuovo, sembrerebbe, eppure “Visages, Villages” va ben oltre il semplice documentare un viaggio di due artisti di generazioni differenti. Tutto il film è incentrato sul concetto di sguardo, ma sguardo verso cosa? Verso la vita, verso il passato e il futuro, verso la vecchiaia e la morte (in pieno stile Nouvelle Vague). Uno sguardo mai pulito. JR vede tutto filtrato dagli scuri e onnipresenti occhiali da sole, proprio come l’amico-nemico della sua compagna di viaggio, Jean-Luc Godard. Figura, quella del regista francese, sempre presente e assente nel film, come una divinità del cinema che sfugge all’occhio umano. Mentre lo sguardo della novantenne Varda è corrotto da una malattia degenerativa che la costringe a delle frequenti punture al bulbo oculare. Impossibile per lei, a quel punto, non citare “Un Chien Andalou” di Luis Bunuel con la frizzante (auto)ironia che aleggia sul film per tutta la sua durata. Nonostante questo, la nostra cara Agnès - perché proprio come succede a JR per noi sarà impossibile guardarla senza che ci torni in mente nostra nonna - non ha alcuna intenzione di perdere la curiosità del guardare. Anzi, la vicinanza del giovane artista sembra ridarle verve, voglia di scoprire e mettere sempre in discussione la propria visione delle cose. Non sono rari, infatti, veri e propri battibecchi tra i due. Un piccolo saggio su pellicola quindi, un viaggio per conoscere la gente comune che, se per lo street artist urbano rappresenta la novità, per Agnès è un ritorno alle origini. È invitabile che le ultime sequenze del film acquisiscano un sapore agro-dolce, il viaggio che sta finendo non è solo quello filmico a cui abbiamo assistito. Così, lo sguardo che vede la fine avvicinarsi ha tempo di dare prima un’occhiata al passato, verso i ricordi di una vita piena, e poi al presente, con la consapevolezza di avere a fianco qualcuno che raccoglierà la nostra eredità, qualcuno grazie al quale la voglia di scoprire nuovi volti non morirà mai. E uno sguardo così non può che essere pieno di gioia. Capita, a volte, che la visione di un film ci colpisca a tal punto da cambiarci, ed è difficile scriverne. Per questo scrivere di “Visages, Villages” non è per nulla semplice, perché è un film importante (importantissimo) e dopo averlo visto possiamo sentirci solamente grati. La frase dal film:
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