Viaggio a Kandahar
In questi giorni di tensione e ormai anche di guerra, il film di Mohsen Makhmalbaf è in grado di soffermarsi a considerare con profondità e senza nessun indugio retorico o condiscendente un paese in cui paradossalmente la civiltà sembra regredire, per tornare alle atmosfere passate e riproporre usi e costumi medioevali.

Il regista israeliano realizza il racconto di un viaggio: documento di straordinaria e sconvolgente verità. Delinea senza vaghezza le motivazioni che spingono la giovane Nafas a tornare nel suo paese d'origine, dopo esserne fuggita per diventare giornalista in Canada. Makhmalbaf annota con attenzione ciò che la donna osserva e racconta al registratore nascosta nel burga, abito oramai obbligatorio per le donne afgane. Dietro la piccola rete dell'abito, all'altezza degli occhi, Nafas guarda tutto quello che può e cerca di comprendere, nella speranza di riuscire a raggiungere in tempo la sorella decisa ad uccidersi il giorno dell'eclisse. La accompagnano in questo viaggio nei dedali di una civiltà che non è più la sua, prima un vecchio con le tre mogli e i sei figli, poi un bambino cacciato dalla scuola dei muezzin e un soldato americano di colore, le cui superficiali conoscenze mediche lo hanno trasformano nel dottore di un villaggio.

Nulla di quello che Makhmalbaf mostra negli 85 minuti di pellicola è finzione. La spedizione di Nafas in un altro mondo è tutta vera; com'è vera la discesa nell'oscurità e nell'oscurantismo di un paese al quale i Talebani hanno promesso il ritorno alla purezza, trasformando rapidamente questa promessa in proibizione. Un paese dove la donna, che negli anni '70 vestiva con la minigonna e giocava a pallavolo negli stadi e nelle palestre, è ora costretta sotto un ampio e anonimo burga che la nasconde senza pietà togliendole ogni diritto, condannandola ad una tormentosa ignoranza e ad una crudele solitudine. Un paese dove ai bambini si insegna ad avere paura delle bambole, perchè perdute sulla sabbia potrebbero nascondere delle mine antiuomo e strappar loro gambe e braccia. Un paese che sembra essere mosso da un impulso omicida parimenti ad uno suicida.

Il film di Makhmalbaf è una supplica, un desiderio fortissimo di mostrare per far capire e per spronare la ricerca di una soluzione. Un vibrante desiderio di opporsi per evitare che in nome di Allah la memoria di questo popolo e di questo paese venga cancellata per sempre.

Valeria Chiari

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