Uzak
In una Istanbul resa silente e ancor più affascinante da una bianca coltre di neve si svolge la storia di un fotografo e di suo cugino trasferitosi nella capitale dal suo villaggio, in cerca di un lavoro su una delle navi che arrivano e partono continuamente dall'importante porto della città.
Il regista turco, Nuri Bilge Ceylan qui anche sceneggiatore e direttore della fotografia, premiato a Cannes 2003 con il Gran Premio della critica, racconta una storia molto intima lasciando che la sua macchina da presa entri liberamente nella vita dei due protagonisti, un quotidiano fatto di piccolissime abitudini e di tanti ideali perduti in corso d'opera.
Una malinconia costruita attraverso lunghi silenzi, e pochissime e apparentemente banali parole, e che sembra sottolineare una immobilità che in realtà è solo illusoria. I due uomini sembrano distanti nel carattere ma invece molto vicini per ciò che vorrebbero avere, avrebbero voluto avere, dalla propria vita.
Ceylan ha uno stile semplice che concentra l'attenzione dello spettatore sull'immagine, su quella neve che sembra coprire tutto ma che invece sottolinea il disagio e l'inquietudine dei due protagonisti, rendendoli ancor più evidenti e toccanti, proprio come l'enorme petroliera semi-affondata ancorata ad uno dei moli del porto, abbandonata alla spietatezza del tempo e all'indifferenza dell'uomo.
Nella lentezza della pellicola si dipana la storia dei due personaggi le cui personalità assolutamente contrastanti rendono ancor più tragica la solitudine che li caratterizza e che finisce per lasciarli senza speranza.
Valeria Chiari
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