Unfriended
Durante una videochat di gruppo, sei compagni di liceo ricevono un messaggio da Laura Barns, una comune amica morta suicida esattamente un anno prima.
Sulle prime i ragazzi pensano si tratti di uno scherzo ma, quando la ragazza inizia a rivelare i loro segreti più oscuri, si rendono conto di avere a che fare con qualcosa che non appartiene a questo mondo, qualcosa che ha a che fare con l'aldilà e che li vuole morti.
Tra loro, infatti, si nasconde il responsabile di uno scherzo crudele che si scopre essere stato la reale causa del suicidio di Laura.
Quello che, sulla semplice scorta della sinossi, potrebbe apparire come una rilettura neanche troppo originale di teen movie tipicamente anni novanta come So cosa hai fatto o Scream, si rivela essere in realtà una piacevole boccata d'aria fresca per l'horror in generale, oltre che un'intelligente ridefinizione di un sottogenere - il Found Footage - che, dopo aver raggiunto il suo apice negli anni a cavallo tra The Blair Witch Project e lo spagnolo Rec, non ha tardato a mostrare tutti i suoi limiti sostanziali già ai tempi del sopravvalutato Paranormal Activity.
Tutto il film è costruito, infatti, su un'unica ripresa fissa del desktop di un MacBook Air (quello della protagonista Blaire) sul quale progressivamente si affastellano più o meno tutti i possibili strumenti di comunicazione virtuale, da Facebook a Skype.
Nessuno zombie o mostro famelico a turbare i sonni dei protagonisti quindi, ma la percezione, via via sempre più opprimente con il procedere della storia, che tutti i loro amati e preziosi ammennicoli tecnologici possano rivelarsi tutt'altro che sicuri, soprattutto se esposti alla mercé del soprannaturale.
Chiaro dunque come, di fronte a un'intuizione estetica così radicale, il semplice voler giudicare una trama che, da un punto di vista strettamente drammaturgico, è davvero poca cosa, diventi esercizio tutto sommato sterile.
Il rischio più grande che Unfriended si prende infatti - ma è un rischio che del resto tutto il Found Footage ha sempre corso - è quello di riuscire a non annoiare pur partendo da una struttura formale così limitata (e limitante) ed è quasi esclusivamente su questo aspetto che il film andrebbe valutato.
E, a conti fatti, il lavoro del regista georgiano Levan Gabriadze non delude affatto, a patto però che il fruitore accetti il suo invito a modificare il proprio ruolo da quello di semplice spettatore in partecipante attivo, accettando, per un'ottantina di minuti, che quello che ha davanti non sia più uno schermo cinematografico, bensì quello stesso desktop su cui ormai chiunque è solito passare la maggior parte delle sue ore da sveglio.
Quella che potrebbe sembrare poco più che una minuzia teorica rappresenta in realtà il centro nevralgico di un'opera che, per prima, rende oggettiva una resa incondizionata dell'ultimo bastione del cinema d'intrattenimento nei confronti del computer, forse il medium che più di ogni altro ha contribuito ad usurparne il dominio negli ultimi anni e, allo stesso tempo, mette a dura prova sia il pubblico che tutti i suoi abituali strumenti di sospensione dell'incredulità.
Poi c'è un altro discorso, di eguale rilevanza, che riguarda la funzione primaria che, in generale, un qualsiasi film horror dovrebbe andare ad assolvere e che risponde a una domanda fondamentale: questo Unfriended fa paura o no?
Da questo punto di vista il film, forse vittima dei limiti che si impone, è leggermente meno efficace.
Il progressivo accumulo di elementi atto a creare il perturbante non sfocia mai nello spavento puro, lasciando troppo all'immaginazione di uno spettatore costretto ad accontentarsi di pochi e sparuti climax fatti di rumori metallici, urla e velocissimi (anche troppo) frame orrorifici.
Ma è una carenza alla quale Gabriadze cerca di ovviare spostando l'asse del raccapriccio dal gore (tipico del prodotti più mainstream) ad un fermo immagine che, significando assenza di segnale in un film incentrato sulla comunicazione costante, dovrebbe inquietare più di qualsiasi violenza manifesta.
L'operazione gli riesce fino a un certo punto, col risultato che, alla fine, la pubblicazione senza permesso di immagini sul nostro profilo Facebook, così come l'impossibilità di compiere azioni ormai di uso quotidiano come il semplice chiudere una finestra internet, risultano più disturbanti di una casa infestata dai fantasmi o da un'invasione di zombie.
Perché il computer - così come lo smartphone, o il tablet - è la nostra nuova casa e ciò che fa più paura oggi è l'idea che qualcuno vi si possa insinuare.
In quest'ottica Unfriended definisce una nuova frontiera del genere e, nel suo rappresentare un possibile prototipo dell'horror che verrà, è già sufficiente per far sperare in futuri e ben peggiori spaventi.
La frase:
"Chi lascia la chat muore".
a cura di Fabio Giusti
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