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Ticket to Jerusalem
Intraprendere un progetto che parli di avvenimenti che più i giorni passano più bruciano, è molto rischioso perché si rischia di cadere nella retorica o nel proclama.
Rashid Masharawi ci parla della situazione nei territori occupati osservandola dall'interno. La storia è quella di un proiezionista che rischia la vita per far sorridere ogni giorno i bambini, figli della guerra, proiettando su schermi precari con mezzi precari delle pellicole sbiadite. Per questo lavoro-passione rischia di compromettere il suo rapporto con la moglie, volontaria in un pronto soccorso. Finché un giorno ha la possibilità di proiettare un film a Gerusalemme.
Il film ovviamente è un film sull'assedio (forse dovrei chiamarla guerra) che da troppo tempo è subito da gente alla quale non è rimasto più nulla. Però ci parla anche dell'ostinazione con la quale si tenta di vivere una vita quotidiana che è fatta delle piccole cose. Jaber, il personaggio principale (interpretato da Ghassan Abbas), la guerra la vede in televisione, ma la sente dentro. La moglie Sana (interpretata da Areen Omary) la guerra la vede ogni giorno sul campo ma non vuole sentirla. Eppure Jaber sente che bisogna ribellarsi ad uno stato di cose che uccide la dignità dell'uomo. Bisogna ribellarsi alla prepotenza dei coloni che ti portano via la vita.
Il film è di una semplicità disarmante (e bisogna essere proprio bravi per parlare di cose così grandi in maniera così semplice); non c'è bisogno di parlare di intifada (anche se la foto di Arafat è in ogni casa) o di carri armati israeliani (che in tutto il film fungono da muri) o di terrorismo (che non può servire a niente) per far sentire tutto il dolore che purtroppo c'è.
Eppure il film non ci parla solo di questo: ci parla del cinema. La forza del cinema che riesce a raggiungere il cuore di tutti. Il cinema che è un'arma, una colomba, la voglia di cambiare le cose. Anche se non serve a niente (ma chi l'ha detto?) in quell'ora e mezzo ci si sente uniti, fuori e dentro al mondo e forse il dolore diventa gioia. Nella stanza spoglia di Jaber spicca una fotografia di Marilyn Monroe, è riuscita a valicare tutti i blocchi, così come c'è riuscito il sogno che per sempre accompagnerà tutte le persone che continueranno a combattere senza quella robaccia che sono le bombe, le pistole e tutte le armi.
Perché la guerra in fondo è solo una questione di soldi e il sogno non si compra mai.
Renato Massaccesi
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