Throw Down
Presentato fuori concorso alla 61° Mostra del Cinema "Throw Down" ("Rudao Longhu Bang" il titolo originale) è un film del regista di Honk Kong, Johnnie To.
Johnnie To (alias Qifeng Du, alias Kai Fung To) sembra essere un regista di culto per gli amanti del cinema dell'estremo oriente. Un cinema fatto di storie semplici, personaggi disegnati col pennarellone, combattimenti volanti e colori sgargianti.
Per non deludere i numerosi fan di Johnnie, diciamo subito che tutto questo - e di più - potranno trovare in questo suo ultimo film.
Elementi, quelli sopra elencati, che farebbero inorridire chi si appresta a recensire un film. Ma Johnnie To (che nome ragazzi!) possiede la rara capacità di mescolarli abilmente, producendo una miscela che si traduce in un film che appassiona nonostante l'infantilismo della storia (un ex judoka, ora inaffidabile gestore per conto di un boss mafioso di un night club, si riscatta, dopo la morte del suo ex maestro, sconfiggendo il suo capo in un incontro di judo, grazie anche all'amicizia di un ex attricetta porno e di un suo ammiratore sfegatato) e nonostante i personaggi che sembrano uscire da un fumetto di bassa qualità con dialoghi da rivista di cronaca rosa.
Johnnie To però, come detto, ha un tocco felice ed una mano ispirata. Fotografa le scene con cura non lasciando nulla al caso, riprende i combattimenti come fossero le danze di uccelli acquatici, usa la musica come Tarantino, facendola diventare un elemento fondamentale della sua parola filmica e non solo mero commento di contorno. Musica capace di smuovere corde nascoste - quelle di cui probabilmente ci vergogniamo - quando riprende la fuga della ragazza con un mucchio di banconote che riempiono l'aria mentre è inseguita da alcuni malavitosi. Musica che contrappunta alleggerendole, anche le scene più violente. Di Tarantino, il nostro Johnnie, ha anche il gusto per le citazioni e per il patchwork di stili ma, al contrario dell'amato Quentin, ha un modo di narrare lineare e rispettoso della cronologia degli eventi ed una diffusa autoironia che ogni tanto riaffiora tra un taglierino brandito a mo' di coltello ed un karaoke stonato.
Un film che colpisce per la grande perizia del regista che, però, abbonda un tantinello nei controfinali tirandolo un po' troppo per le lunghe, come, peraltro, nella migliore tradizione dei romanzi popolari.

Daniele Sesti

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