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The Way Back











Meglio rischiare tutto scappando che una lenta fine in prigionìa. Di fronte a un'aspettativa di vita che non andava oltre un anno, un piccolo gruppo di reclusi in un gulag decide una fuga quasi impossibile percorrendo clandestinamente, proprio per 12 mesi, circa 10 mila chilometri dalla Siberia all'India, passando per il deserto del Gobi e le cime dell'Himalaya.

Se grazie a "Picnic ad Hanging rock" si era fatto conoscere a livello internazionale per poi raggiungere l'apice della notorietà con "The Truman show", per Peter Weir "The Way back" rappresenta - tra film per il cinema e la televisione - il quindicesimo titolo, co-sceneggiato (con Keith Clarke, che è anche uno dei produttori esecutivi), co-prodotto e diretto a partire dal libro "The Long walk: the true story of a trek to freedom" di Slavomir Rawicz, insieme a racconti di sopravvissuti e ricerche.

Al di là dei pretestuosi riferimenti agli internati siberiani (con le micidiali condizioni di fame, freddo e lavoro) e alla storia polacca (dalla spartizione tra Germania nazista e Russia sovietica fino alla caduta del regime del socialismo reale), riassunti nella parte iniziale e nei titoli di coda, con spettacolari riprese di vaste distese a cielo aperto - che siano boschi, laghi, sabbie e nevi - Weir riprende il proprio tema ricorrente della lotta tra l'uomo e le soverchianti forze della Natura e della società, intrapresa sia con individualismo anglosassone che con spirito di corpo di formazione militare, dietro i quali c'è comunque un medesimo vissuto di tragedie affettive. Persi i punti di riferimento, i suoi personaggi di diversa provenienza geografica e culturale (carsimatico il volto di Ed Harris scavato dagli anni, Saoirse Ronan è enigmatica e angelica allo stesso tempo), ritrovandosi nell'istintualità e nel bisogno di far gruppo, strada facendo maturano un inquieto nomadismo che è una disperata marcia di libertà per il ritorno all'irrecuperabile.

La frase:
"Questi 13 milioni di chilometri quadrati sono il vostro carceriere".

a cura di Federico Raponi

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