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The Search











Nel 1999 la Cecenia è stata il teatro di un violento scontro razziale spacciato, dal governo sovietico dell'allora Presidente Yeltsin, come guerra al terrorismo.
Durante il conflitto, il piccolo Hadji assiste impotente all'uccisione della sua famiglia e scappa, nel tentativo di portare in salvo il fratellino neonato.
Traumatizzato da questo evento fino a perdere temporaneamente la parola, il bambino incontra sulla sua strada Carole (Bérénice Bejo) capo delegazione dell'Unione Europea di stanza in Cecenia per documentare l'orrore di quella ingiusta guerra, e tra i due lentamente si instaura un rapporto di estrema complicità, a dispetto delle numerose difficoltà di comunicazione.
Sono però entrambi ignari che la sorella maggiore di Hadji, sopravvissuta al massacro, vaga disperata per il paese in cerca dei suoi due fratelli.
A queste due storie si intreccia poi quella di Kolia, diciannovenne arrestato mentre fuma uno spinello e arruolato in tutta fretta nell'esercito russo, e alla sua violenta discesa negli inferi di una guerra che ne cambierà radicalmente per sempre la concezione di bene e male.
A tre anni dal trionfo di pubblico, critica e premi di The Artist, Michel Hazanavicius fa il suo ritorno dietro la macchina da presa con il film che proprio non ti aspetti.
Laddove infatti sarebbe stato (forse fin troppo) facile per lui bissare il successo di quel film con un'opera dal più alto coefficiente mainstream, il regista parigino decide invece di sfruttare l'hype generato, per forza di cose, dagli Oscar vinti per puntare i riflettori su una delle tragedie più immani e, allo stesso tempo, meno coperte dai mezzi di comunicazione della nostra storia recente.
Nel farlo Hazanavicius trae ispirazione da Odissea tragica - anche se il titolo in inglese era il medesimo, The Search - un film diretto da Fred Zinnemann nel 1948 spostando semplicemente la location dalla Germania della Seconda Guerra Mondiale alla Cecenia dell'altro ieri e girando, con un importante dispendio di mezzi, quest'opera densa di dolore, distante anni luce dai toni cinefili e sognanti di The Artist.
Anzi, il paradosso più evidente nello scarto tra i due film risiede proprio in come quest'ultimo traesse la sua principale ragion d'essere nel suo essere muto, mentre invece The Search, in netta antitesi, si fa addirittura polifonico, alternando più storie in cui si parlano tre differenti lingue (russo, francese e inglese) con il risultato di amplificare oltremisura la sensazione di incomunicabilità tra contesti geografici differenti.
L'unica eredità di quel film rimane Bérénice Bejo, moglie e musa del regista parigino, che qui lavora di sottrazione dando ampiamente prova di notevoli capacità drammatiche fino quasi a mortificare il proprio indiscutibile fascino di fronte alle gravi istanze portate avanti dal racconto.
Sin dalla prima sequenza, che simula un crudissimo filmato amatoriale girato da un soldato russo, è, infatti, evidente come The Search prediliga la strada di una visione onnisciente, non precludendo nulla allo spettatore (alcune scene sono veri e propri pugni nello stomaco) di una triste verità che la storia stessa ha rischiato seriamente di non rivelare mai attraverso un abile sovrapposizione di profilo pubblico e privato.
Film fortemente incentrato sul concetto di negazione - di un'identità così come di un'infanzia, ma anche della natura implicitamente razziale di un conflitto messa più volte in dubbio dalle Nazioni Unite - The Search è opera dotata di un notevole impatto dal quale si evince come Hazanavicius sia ormai un uomo di cinema piuttosto completo, seppure non del tutto esente da difetti.
Il principale è senz'altro una progressione un po' troppo didascalica della storia appesantita da un eccesso di manicheismo nella divisione tra buoni e cattivi, trappola quest'ultima in cui non è neanche difficile cadere ogni qualvolta ci si cimenti con il cosiddetto film "a tema".
The Search paga inoltre il prezzo di una durata eccessiva che, se asciugata da alcuni passaggi un po' meno a fuoco, avrebbe senz'altro pagato in termini di fluidità narrativa.
Al netto di ciò, la bontà del risultato è comunque garantita dall'evidente sincerità del progetto e dal coraggio mostrato dal suo autore nel produrre qualcosa di così distante, per struttura e temi trattati, da quanto il grande pubblico si sarebbe aspettato da lui.
Non sono pochi, infatti, i registi naufragati nel tentativo di discostarsi in modo netto delle opere con cui avevano raggiunto il successo. Basti pensare, per fare due esempi, ai fratelli Wachowski e al tonfo clamoroso di Speed Racer e di qualsiasi altro film abbiano girato in seguito o al Jean-Pierre Jeunet del dopo-Amelie.

La frase:
"Qui tutto è urgente".

a cura di Fabio Giusti

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