La mummia - La tomba dell'imperatore dragone
L’avvincente prologo, ambientato nell’antica Cina, vede l’ex campione di Wushu Jet Li ("Romeo deve morire") nei panni dello spietato imperatore cinese Dragone, condannato dalla strega Zi Yuan, con il volto di Michelle Yeoh ("Memorie di una geisha"), a vivere per l’eternità in uno stato di animazione sospesa insieme ai suoi 10000 guerrieri sepolti nell’argilla.
A nove anni da "La mummia" (1999) e a sette dal sequel "La mummia-Il ritorno" (2001), tramite i quali Stephen Sommers ("Deep rising-Presenze dal profondo") rispolverò il classico interpretato nel 1932 da Boris Karloff trasformandolo in una coppia di discutibili pop corn-movie rivolti più al pubblico dei giovanissimi che a quello costituito da chi è in cerca di brividi, il timone di regia passa nelle mani di Rob Cohen ("Fast and furious") e l’archeologa protagonista Evelyn, ora interpretata da Maria Bello ("A history of violence") e non più da Rachel Weisz ("Constantine"), torna in azione affiancata dal marito Rick O’Connell, dal cresciuto figlio Alex e dal truffaldino fratello Jonathan, rispettivamente con le fattezze di Brendan Fraser ("Crash-Contatto fisico"), Luke Ford ("Black balloon") e John Hannah ("Sliding doors"), per fronteggiare questa volta la temibile minaccia dagli occhi a mandorla intenta a dominare il mondo intero.
E bisogna subito dire che, a dispetto delle tutt’altro che positive previsioni, ci troviamo dinanzi a quello che, tra maledizioni orientali e perfino invasioni di yeti, possiamo tranquillamente giudicare come il miglior capitolo della serie, del tutto incapace di spingere lo spettatore ad addormentarsi, nonostante la sua non breve durata (siamo intorno ai 112 minuti).
Cohen, infatti, gestisce a dovere l’abbondanza di emozionanti sequenze d’azione costruite in maniera evidente sull’impeccabile stile degli action-movie made in Hong Kong (non a caso, il nutrito cast comprende anche l’Anthony Wong Chau-Sang di "Infernal affairs"), fino all’attesissimo scontro finale tra l’esercito cattivo degli uomini di terracotta e quello dei guerrieri scheletrici che sembrano nostalgicamente usciti dal classico "Gli Argonauti" (1963) di Don Chaffey.
L’ironico mix di avventura, effetti digitali e horror under 15, quindi, funziona meglio del solito, tanto che finisce per risultare più vicino allo spirito di Indiana Jones il film di Cohen che il poco esaltante quarto episodio dedicato da Steven Spielberg al famoso eroe di celluloide dalla faccia di Harrison Ford.

La frase: "C’è qualcosa di incredibilmente romantico nello sconfiggere i morti viventi".

Francesco Lomuscio

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