The host
Qualcosa ci dice che Matt Reeves e J.J. Abrams, rispettivamente regista e produttore del chiacchieratissimo "Cloverfield", prima di dedicarsi al loro gigantesco essere distruggi-New York siano incappati nella visione di "Gwoemul", produzione più vecchia di circa due anni che, sfornata dalla Corea del Sud, porta la firma del Joon-ho Bong cui dobbiamo, tra l'altro, la commedia "Barking dogs never bite" (2000) e il thriller "Memories of murder" (2003).
Proprio come nel lungometraggio di Reeves, infatti, la mostruosa creatura di "The host" (titolo anglofono con cui la pellicola è meglio conosciuta), generata casualmente sei anni dopo la dispersione di formaldeide impolverata nelle acque di un fiume, sembra essere in grado di trasmettere agli esseri umani un pericoloso virus.
Però, tutti coloro che si aspettano l'ennesimo kaiju-eiga (termine per indicare i monster-movie orientali) potrebbero rimanere non poco delusi, in quanto, a differenza dei vari Godzilla e Gamera, il mostro di Joon-ho Bong, che viene mostrato in tutto il suo splendore (anche se appare evidente la sua natura digitale) già a partire dai primi minuti di visione, non scorazza distruttivo tra grattacieli ed abitazioni, ma si limita a rapire comuni mortali-cibo in prossimità della sua tana.
E, se inizialmente tornano alla memoria i fanta-kolossal di Roland Emmerich, si ripensa in un certo senso a "Lo squalo" dal momento in cui una bambina, finita tra le provviste del mostro, viene ricercata da nonno, padre, zio e zia in vena d’avventura senza paura.
Perché, al di là della trama fantascientifica e con spruzzate d’ironia, "The host" non sembra essere altro che un elogio all'importanza del nucleo familiare, mentre attacca senza sosta un'umanità stupidamente menefreghista – a partire dai due medici che disperdono la formaldeide ai danni dell'ambiente – e "affezionata" in maniera squallida al dio denaro, tanto da non esitare a fare ricorso al rapimento, proprio come il nemico soprannaturale che si trova a dover fronteggiare.
Al termine dei 119 minuti di visione leggermente al di sopra della media, quindi, l’impressione generale è che l’intelligente lato metaforico finisca in buona parte per occultare quello dell’intrattenimento, che in questo genere di produzioni necessiterebbe, invece, di maggiore spazio.
La frase:
- "Ragazzi, lo vedete? Sotto, nell’acqua, qualcosa di oscuro nell’acqua, davvero non lo vedete"
- "Di che diavolo sta parlando?"
- "Della fine, idioti, vi auguro una bella vita".
Francesco Lomuscio
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