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The Grandmaster











Sebbene Wilson Yip abbia realizzato tra il 2008 e il 2010 due lungometraggi incentrati sulla figura di Ip Man, leggendario maestro di Bruce Lee e della scuola di kung fu Wing Chun, pare che Wong Kar-Wai coltivasse l’idea di raccontarne la storia in un film già dal 1996; anno in cui, mentre stava girando in Argentina "Happy together", notò in un’edicola una rivista con la foto del protagonista di "Dalla Cina con furore" e "I tre dell’operazione Drago" in copertina.
Film che, con il Tony Leung di "Hard-boiled" nei panni, appunto, dell’insegnante cinese di arti marziali, ha visto la luce soltanto diciassette anni dopo per destreggiarsi tra la Cina del 1936, alle prese con alcune turbolenze politiche e con la minaccia della divisione, e quella degli anni Cinquanta, caratterizzata da una Hong Kong divenuta un nuovo mondo popolato da vecchie alleanze, risentimenti duri a morire e frammenti di vite e desideri passati.
Una nazione in cui, accompagnati da una voce narrante, assistiamo alla cerimonia per l’imminente ritiro di Gong Baosen alias Wang Qingxiang, Gran Maestro delle arti marziali della Cina del nord, alla quale partecipa anche la figlia Gong Er, ovvero la Ziyi Zhang de "La tigre e il dragone", unica erede della micidiale "tecnica delle 64 mani" e dello stile Bagua.
Ma, nonostante ad aprire la visione, subito dopo i titoli di testa, sia un combattimento che avviene sotto la pioggia, non aspettatevi il classico kung fu movie tempestato di botte da orbi e acrobazie fisiche, in quanto vi ricordiamo che a trovarsi dietro la macchina da presa è un cineasta tutt’altro che propenso all’exploitation su celluloide.
Un cineasta che, supportato anche dalla splendida fotografia di Philippe Le Sourd, come di consueto cura in ogni minimo dettaglio le immagini, tanto da conferirgli poesia, rischiando in più occasioni, però, di confondere lo spettatore nei confronti dell’evoluzione della vicenda, atta a ribadire, inoltre, che ogni sfida conduce verso una più alta vetta.
Quindi, con una messa in scena e una colonna sonora che rimandano, in un certo senso, a "C’era una volta in America" di Sergio Leone, quelle che prendono forma sono oltre due ore di pellicola che, al di là di uno scontro che si svolge accanto a un treno in corsa, tendono a privilegiare dialoghi e lenti ritmi di narrazione, fino a un’ultima sequenza posta durante i titoli di coda.
Oltre due ore di pellicola che, visivamente accattivanti e volte a ricordare che dobbiamo fare i conti con il destino perché, negli scacchi e nella vita, la mossa fatta non si cancella dalla scacchiera, riescono forse a risultare meglio comprensibili soltanto se fruite in seguito ai due succitati lavori di Yip.

La frase:
"Vince soltanto chi resta in piedi, è molto semplice".

a cura di Francesco Lomuscio

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