The Gallows - L'esecuzione
Dai tempi in cui spopolò quel “The Blair witch project – Il mistero della strega di Blair” (1999) che, diretto a quattro mani da Daniel Myrick ed Eduardo Sánchez riciclando spudoratamente il concetto su cui Ruggero Deodato costruì la campagna pubblicitaria del suo “Cannibal holocaust” (1980), spacciò per autentico il falso resoconto filmato di quanto accaduto a tre ragazzi in cerca di una misteriosa megera tra i boschi, il sottogenere del found footage – comprendente pellicole realizzate interamente o parzialmente con un metraggio preesistente e successivamente riassemblato in un nuovo contesto – non sembra essersi più arrestato.
Dal godzillesco “Cloverfield” (2008) di Matt Reeves al demoniaco “L’ultimo esorcismo” (2010) di Daniel Stamm, infatti, non poche volte lo schermo d’inizio terzo millennio si è manifestato propenso a riempirsi di finti documentari; portando ad individuare in essi una vera e propria miniera d’oro il produttore statunitense Jason Blum, che, dopo aver finanziato la fortunata saga “Paranormal activity” e l’inedito cinematografico “Mockingbird” (2014) di Bryan Bertino, si è posto anche al servizio di questo POV a firma di Travis Cluff e Chris Lofing.
POV che apre nel 1993 mostrando il tragico incidente che costa la vita ad un giovane attore durante una rappresentazione teatrale presso la Beatrice High School, per poi spostarsi a vent’anni dopo e tirare in ballo Reese Mishler, Pfeifer Brown, Ryan Shoos e Cassidy Gifford, che, studenti della stessa scuola, decidono di riallestire l’opera in un maldestro tentativo di onorare l’anniversario della tragedia.
E, con i quattro intrappolati all’interno dell’auditorium dell’edificio senza possibilità di chiedere aiuto e qualcuno che, probabilmente, cerca vendetta nascosto nell’oscurità, risulta immediatamente chiaro che sia lo slasher il filone stavolta immerso nel campionario di soggettive impazzite e ricerca di realismo da filmino amatoriale.
Un filone che prevede una sequela di fantasiosi omicidi ai danni di persone in uno spazio più o meno chiuso, ma che, in questo caso, sembra ridursi a qualche uccisione eseguita con cappio al collo nel corso dell’ultima mezz’ora di visione.
La parte più attesa e interessante dell’insieme, probabilmente, ma che non basta da sola a rendere salvabile un’operazione non priva di pecche, a cominciare da una sceneggiatura – concepita dai registi stessi – che lascia piuttosto a desiderare.
Senza contare il fatto che, trattandosi di una tipologia di spettacolo che ha sempre provveduto a fare della rappresentazione grafica dei delitti il suo ingrediente vincente, il non mostrare quasi nulla di esplicitamente violento per rispettare le regole post-“Blair witch” si rivela tutt’altro che una scelta felice.
Quindi, per lo più abbiamo il consueto assemblaggio di oggetti che cadono, porte che si chiudono da sole e, soprattutto, rumori improvvisi volti a far balzare lo spettatore dalla poltrona... ma solo se non è già sprofondato in un sonno liberatorio.
La frase:
"Lui vuole me, sta venendo per me".
a cura di Francesco Lomuscio
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