Teza
Presentato alla 65^ Mostra del cinema di Venezia, un film come Teza ha sulla carta tutte le potenzialità per vincere un premio prestigioso.
Non, come spesso accade, per meriti artistici ma per valori del tutti extra cinematografici.

Teza è un lungo excursus storico sull’Etiopia degli ultimi trent’anni, dall’ascesa e caduta di Hailé Selassié, passando alla dittatura di Menghistu, fino alla caduta del muro di Berlino e alle nuove sfide per il futuro. Il protagonista è Anberber, un giovane idealista che spera, grazie agli studi di medicina seguiti in Germania, di guarire il suo popolo da ogni malattia che normalmente si può sconfiggere in occidente. Idealista ma passivo, Anberber testimonia impotente alla violenza, all’oscurantismo e al fanatismo imperanti nel suo paese (ma anche all’estero e nella civilissima Germania). Cambiano le bandiere e le stagioni in Etiopia, sembra dire il regista, ma c’è un male sottile onnipresente che sembra volersi nutrire solo di sangue, in una follia omicida che non riesce mai a dissetarsi delle vite che spegne.

Del resto anche la fiducia di Anberber nell’occidente è mal riposta.
Un sogno è rivelatore da questo punto di vista. Anberber sogna di trovarsi all’interno di un granaio in cui si aprono fessure che lasciano fuoriuscire i chicchi del cereale fino a soffocarlo. Il giovane cerca di otturare le fessure strappando le pagine di un libro (simbolo del sapere acquisito all’estero), ma invano. Da questo quadro emerge dunque una poetica di dolore e annientamento, in cui l’unico barlume di speranza viene dato, come spesso succede al cinema e in letteratura, da una nuova nascita al termine della pellicola.

Teza (che vuol dire rugida, ma che forse ha anche un doppio senso con il nostro "Tesi"), è un film dallo svolgimento convenzionale, ma robusto e intellettualmente onesto. Le scene di violenza sono però rappresentate con insolita crudezza, senza dubbio per l’eccessivo contatto con situazioni di estrema brutalità. Lo sviluppo del racconto è affidato alla voce narrante del protagonista (non sorprendente in un paese prevalentemente di tradizione orale) e in un certo senso la storia si caratterizza come una sorta di rituale terapeutico per tutta l’Etiopia. Anberber ritorna nel suo paese nel 1990 ed è terribilmente mutilato fisicamente e psichicamente, ma non ne ricorda la ragione.
Creduto posseduto dai demoni viene sottoposto a un rituale di esorcismo in cui il soggetto viene esposto a getti di acqua ghiacciata, come venivano spesso trattati i casi di isteria nelle atroci terapie psichiatriche di un passato fin troppo prossimo. Solo allora Anberber riesce a ricordare. Evidentemente a questo punto, secondo le speranze del regista, anche l’Etiopia e il mondo intero dovrebbero ricordare.

Presentato dunque alla 65^ Mostra del cinema di Venezia, in Italia e con una presidenza di giuria tedesca (Wim Wenders) Teza sembra fatto apposta per far leva sulla coscienza dell’Europa. Eppure il regista dovrebbe conoscere bene il pericolo di fare affidamento all’Europa; certo, potrebbe persino ricevere un premio prestigioso, ma la verità è che gli europei amano sentirsi buoni, e un’onorificenza di valore culturale – si sa - spazza sotto il tappeto tutti i mali del mondo.
Con buona pace dei tanti, troppi paesi africani ancora in guerra nell’indifferenza più totale.

La frase: "Dopo aver incontrato una serpe ti spaventi a vedere un pezzo di corteccia".

Mauro Corso

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