02 Settembre 2008 - Conferenza stampa
"Teza"
Intervista al regista e al cast.
di Mauro Corso

A quanto pare, Teza, parola di un dialetto etiope che vuol dire "rugiada" è stato tra i primi se non proprio il primo film ad essere selezionato per la 65^ Mostra del cinema di Venezia. Sono presenti il regista, i produttori e alcuni degli interpreti principali.

Com'è nata l'idea di questo film?
Haile Gerima: questo film è nato da un sogno, che ho chiamato il seme (che è poi il sogno rappresentato nel film), e secondo me simboleggia il senso di straniamento intellettuale che spesso noi etiopi proviamo rispetto al mondo moderno. Poi è stato molto importante tornare nel mio villaggio, anche se era per una circostanza triste: la morte di mia sorella.

E come vi siete convinti a produrre questo film?
K. Baumgartner: conoscevo già il regista e appena ho saputo di questo progetto me ne sono interessato immediatamente e mi sono impegnato a trovare i soldi necessari. Tra l'altro né noi né il regista abbiamo intascato alcunché per la lavorazione; dovevamo fare tutto con pochi mezzi e ottenere il massimo dalla cifra più piccola. E' stato molto difficile girare on location, soprattutto in Germania. La cosa più importante è stata trovare una partnership francese, perché un film di questo genere senza fondi pubblici non si può fare.

Quali sono stati i tempi di lavorazione?
Haile Gerima: abbiamo avuto tempi molto ristretti, proprio per via dei problemi finanziari. Abbiamo girato in Etiopia per otto settimane, in una lotta costante con i soldi che mancavano, con il tempo, con la pioggia, con il sottosviluppo, ma alla fine abbiamo compiuto un vero e proprio miracolo. Importantissimo è stato l'apporto di Mario Massini, l'operatore. Poi abbiamo girato per tre settimane ad Addis Abeba. In Germania abbiamo girato solo per sei giorni, avremmo voluto lavorare almeno per quindici ma proprio non è stato possibile.

Quanto è importante il montaggio e il lavoro di post produzione?
Haile Gerima: importantissimo. Il cinema non è un hamburger o una crépe che si può fare in un fast food in pochi minuti, è una lotta costante. Di solito mi prendo da uno a due anni per il lavoro finale, dall'emulsione alla camera di montaggio. Il film è come un bambino ed è bene farlo crescere come si deve. Sono trascorsi ben quattro anni dalla parte girata in Etiopia alla parte girata in Germania, per i noti problemi economici. Per il montaggio video e sonoro mi sono preso un anno.

Il ricordo dell'occupazione italiana è molto sentito, magari anche da parte delle nuove generazioni?
Haile Gerima: non posso parlare per le nuove generazioni perché non vi appartengo; quello che posso dire è che mio padre ha combattuto contro gli italiani e che mia madre è cresciuta in una scuola cattolica, quindi si può dire che faccia parte del mio codice genetico. Poi in Etiopia ci sono diversi monumenti italiani, dalla Montagna di Mussolini, presente nel film, fino al monumento intitolato al generale Toselli relativo alla guerra del 1896. Già allora il mio popolo aveva il presentimento che gli italiani sarebbero tornati dopo quarant'anni, e così è stato. Noi non abbiamo monumenti, per noi l'unico monumento è la tradizione orale. Ora intendo preparare un doumentario sulle atrocità della seconda occupazione italiana in Etiopia.

Gli attori come si sono preparati alla parte?
Aron Arefe: tramite il contatto con le generazioni precedenti, ho parlato a lungo con i miei zii e le mie zie, con i miei genitori e con i miei nonni. Chiunque, nel mio paese, appartenga a una generazione superiore alla tua è una specie di cantastorie professionista.
Abiye Tedla: alcune situazioni del film le ho vissute in maniera diretta o indiretta, specialmente per quanto riguarda il regime di Menghistu. Ho iniziato a interessarmene con la lettura da prima di questo film. Poi alcuni miei cugini sono stati uccisi, e qualche volta mentre andavo a scuola mi capitava di vedere i cadaveri. Poi una volta mi è capitato un incidente, che a me è capitato una volta, ma so che succedeva spesso. Sui cadaveri venivano collocati dei biglietti con degli slogan e accanto veniva stazionato un soldato per evitare che il corpo fosse rimosso. Una volta mi sono avvicinato troppo e un soldato mi ha chiesto se conoscevo il defunto. Rischiavi di ricevere una pallottola in quei casi, è capitato. Poi una volta un mio zio è stato arrestato. Mia madre gli è andata a portare del cibo in prigione e mentre era lì ha visto due uomini estratti dalle celle e uccisi sommariamente con un colpo di pistola.

Quale pensa possa essere l'impatto del film in Etiopia?
Haile Gerima: quando realizzo un film non penso a come potrebbe reagire l'audience. E' una reazione che dipende da troppi fattori in perenne movimento: dalle circostanze storiche e dalla capacità della mia storia di stabilire un legame impalpabile con il pubblico. Certo, sono molto curioso ma non penso a questo. Credo che ogni generazione abbia una responsabilità ma è difficile prevedere se tra una o cinque generazioni vengano fuori i giovani in grado di cambiare le cose, questo avviene all'improvviso, basti pensare al '68. Credo, come mio padre, che gli etiopi siano i figli del drago. Quando usciremo dalla caverna per fare la storia, questo non è dato saperlo. Comunque il film deve avere una coerenza e un valore in primo luogo per me. Credo di essere un erede della tradizione orale, io sono cresciuto con le storie che i miei nonni recitavano attorno al fuoco, e la macchina da presa per me è solo l'evoluzione tecnologica di questo sistema. Come regista cerco di riportare in maniera imperfetta la mia personalità e di inserirla nella storia del cinema.

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