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Still Alice

La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com

di Federica Di Bartolo18 ottobre 2014
 

  • Foto dal film Still Alice
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  • Foto dal film Still Alice
Alice Howland (Julianne Moore) è una brillante professoressa di linguistica e insegna tale materia alla Columbia University di New York, felicemente sposata e con tre figli grandi che si stanno facendo strada nel mondo del lavoro così come nella vita. Un giorno si accorge che la sua memoria non è più quella di un tempo, inizia a dimenticare i vocaboli durante una conferenza basata sulla capacità di memorizzare e utilizzare le parole dei bambini tra i 18 mesi e i due anni. Un giorno, per giunta, si ritrova persa, mentre fa jogging come al solito, seguendo lo stesso itinerario di sempre. Preoccupata si rivolge ad uno specialista ed ecco la rivelazione. Alice è affetta da una forma precoce di Alzheimer, che per giunta nel suo caso è ereditario per cui non solo le è stato trasmesso da uno dei genitori, probabilmente dal padre alcolista, ma al tempo stesso lei può averlo passato ai figli, Tom (Hunter Parrish), Anna (Kate Bosworth) e Lydia (Kristen Stewart), che potrebbero sia essere soggetti recessivi sia subire la sua stessa sorte.

Ha solo 50 anni, ma la sua sorte è segnata. Inizia una estenuante, dura e impossibile lotta contro questo male silenzioso. All’inizio cerca, utilizzando la tecnologia, di affrontarla, ma ben presto la malattia la porta a dover lasciare l’insegnamento. Improvvisamente ciò che era chiaro e certo diventa sfocato, improvvisamente diviene impossibile trovare la porta del bagno nella casa che si abita da una vita. Confusa e spaventata si reca in un centro dove sono ricoverati diversi malati di Alzheimer ed è lì che decide di realizzare un piano B. Rifiutandosi di farsi sopraffare, prende orgogliosamente in mano la situazione e si organizza scrivendo diverse domande sul cellulare cui rispondere ogni giorno e realizza un video esortando la se stessa futura e porre fine alla propria sofferenza e a quella dei suoi cari. In breve tempo la situazione peggiora alternando momenti di lucidità a momenti di confusione e a nulla valgono le preghiere rivolte al marito John (Alec Baldwin) di prendersi un anno sabbatico dal lavoro per stare con lei. Pur avendole assicurato all’inizio che le sarebbe stato vicino il suo compagno rifiuta di lasciare il lavoro, tanto più che ha ricevuto una buona offerta. Alice non può fare altro che attendere l’inesorabile, non riesce nemmeno a portare a termine il suo piano B.

Il film prende spunto dall’omonimo romanzo di Lisa Genova, tradotto e distribuito in Italia con il titolo: “Perdersi” e ne rispetta la particolarità stilistica della prima persona. Come il testo letterario, infatti, l’occhio dei registi Richard Glatzer e Wash Westmoreland si concentra su Alice e la sua vita, sul suo mondo interiore tralasciando o facendo vedere solo in parte le ricadute della malattia sui familiari, cosa che invece è il tema portante di altre opere sullo stesso argomento. Abbiamo due Alice, la prima è la donna in carriera sana e poi c’è quella assente e piano piano queste due persone che si alternano nello stesso corpo si fondono diventando una sola. Alice perde quindi se stessa, in primis la parola e poi i ricordi perché le parole sono legate ai ricordi, perché è la parola che definisce un essere umano, come spiega la protagonista.

E’ un’opera sublime, interpretata magnificamente, che riesce a commuovere e coinvolgere lo spettatore, non vi sono battute di arresto, non vi sono cambiamenti repentini, non cade nell’accademico e didascalico, non sfocia nel patetico né nel melodrammatico. Ciò che colpisce è la delicatezza, l’atmosfera di intimità capace di descrivere questo scivolare verso l’abisso. Analizza però con occhi attenti la malattia e le sue ricadute sociali. E’ innegabile che al di là dello script, “Still Alice” si regge tutto sulla capacità interpretativa perfetta di Julianne Moore, che è affiancata da una convincente Kristen Stewart nei panni di Lydia.


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