19 Settembre 2008 - Intervista
"Tropic Thunder"
Intervista a Ben Stiller.
di Andrea D'Addio

Bisogna sempre stare attenti quando si vede il nome di Ben Stiller nella locandina di un film in uscita. Che la pellicola faccia ridere è sicuro, poche volte questo figlio d'arte (Anne Meara e Jerry Stiller i genitori) fallisce l'obiettivo "divertimento", ma quando oltre all'interpretazione, Ben Stiller firma anche la regia, allora possiamo esser sicuri che il film in questione sarà degno di futura memoria. Diversamente dai comici nostrani che si improvvisano registi (da Ceccherini a Panariello, passando per Pieraccioni e Salemme), Stiller è uno che cura le immagini, che sperimenta e non si accontenta del botteghino per riconoscere a sé stesso che il lavoro sia riuscito. Persino il grottesco "Il rompiscatole" ha una cifra stilistica riconoscibile e ricca di intuizione, mentre un esordio come "Giovani, carini e disoccupati" non è certo da tutti. Logico però che se si debba parlare di Stiller regista, si pensa subito a "Zoolander", vero cult della comicità, non a caso nei cuori di quasi tutti i suoi spettatori che continuano a mimarne espressioni e citarne frasi ad effetto. "Tropic thunder" è un film altrettanto ricco, e la possibilità di parlarne con lui è quella che si dice "una grande occasione". Lo incontriamo a Roma, dove molto gentilmente, ci concede quest'intervista.

Catalogare Tropic thunder come una parodia dei film sul Vietnam sembra molto riduttivo data la complessità della sceneggiatura e della regia. Con che intenzioni ti sei approcciato a questo progetto?
Ben Stiller: Ho cercato di creare questo film in modo tale che non fosse solo comico, ma con una sua anima precisa e più ampia, un senso che andasse al di là del semplice collage di sketches. Al di là della parodia, volevo lavorare anche molto sulle immagini e grazie al mio direttore della fotografia, abbiamo cercato di realizzare, in apparenza, un vero film di guerra.

Da quando ci sono le guerre in Afghanistan e Iraq è sempre più citato il Vietnam. Oggi e ieri sembrano molto legati. Hai il timore che qualcuno si possa sentire offeso dal tuo film collegandolo alla situazione attuale dei militari americani in Asia?
Ben Stiller: Come per qualsiasi film ci saranno persone che reagiranno in un modo e altre in un altro, ma, al di là di quella che è la situazione reale oggi, il punto focale del film non è la guerra, ma sono gli attori. La parodia non è sulla guerra, ma su come i film ne trattano e sul divismo degli attori di volta in volta coinvolti in questi progetti.

Sei un regista che dà molto spazio a tutto il cast, non fai mai la prima donna. Come è stato il lavoro con Robert Downey Junior e Jack Black?
Ben Stiller: Ho sempre pensato a questo film come ad un'esperienza corale. Ho sempre pensato che fosse necessario, per la buona riuscita della pellicola, chiedere i loro consigli e confrontarci su molte scene, per dare spessore ai loro personaggi. Certo, è necessario trovare un equilibrio tra la sceneggiatura che ha un suo sviluppo, e le storie di ogni personaggio che devono avere, anch'esse, un inizio, un centro e una conclusione. Dare una parte completa a tutti. Ho dato spazio all'improvvisazione di Robert Downey Jr. visto che ben si inseriva all'interno di un cast ben oliato. L'attore deve saper dare anche proprio questo, quel di più che sembra fatto apposta per il film.

Differentemente dalle convenzioni hollywoodiane, qui niente storia di amore...
Ben Stiller: Il rapporto al centro del film è qui l'amicizia, tutti si vanno a confidare dal personaggio di Robert Downey Jr, e questo bastava a muovere le dinamiche del racconto. Non c'era bisogno di altro.

In una puntata dei Simpsons, Homer dice, guardando il dvd di Il rompiscatole: "Ben Stiller, non ti perdonerò mai per aver quasi rovinato la carriera a Jim Carrey!". Che ricordo hai di quell'esperienza, il tuo secondo film?
Ben Stiller: Sono orgoglioso di quel film, continua a piacermi e penso che anche Jim Carrey continui a sostenerlo. Era una storia particolare, una dark-comedy e doveva essere presentata in maniera diversa al pubblico, non certo con un'uscita estiva. Ringrazio comunque ancora Jim Carrey per aver voluto partecipare a quel film. Io allora non ero nessuno, lui poteva scegliere qualsiasi film, aveva le porte di Hollywood aperte per qualsiasi progetto e scelse il mio, che era sicuramente tra i più rischiosi. E' stata una grande esperienza.

Assieme a Jack Black, Steve Carell,Will Ferrell, Vince Vaughn e i fratelli Wilson, fai parte del gruppo della Frat Pack. Cosa significa quest'unione,ormai marchio di tanti film?
Ben Stiller: Non so neanche chi abbia coniato questo nome, forse è più un raggruppamento fatto da altri che un vero gruppo, anche se è vero che in qualche modo definisce un insieme di persone cui piace lavorare assieme, anche se poi è bello soprattutto incontrare perone nuove come, in questo caso, Nick Nolte e Tom Cruise.

Tropic Thunder è anche un film sul confine, difficile da mantenere per un attore, tra personaggio e reale identità. Significa che in te c'è anche un po' di Derek Zoolander?
Ben Stiller: Non penso di aver mai perso il controllo dei miei personaggi, anche se, beh, a tutti piace guardarsi allo specchio e fare qualche smorfia (Stiller mima le smorfie di Zoolander quando di passa la mano tra i capelli)

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