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08 Settembre 2006 - Conferenza Stampa
"Nuovomondo (The golden door)"
Intervista al regista e al cast.
di Andrea D'Addio
Alla conferenza stampa è presente tutto il cast principale, il regista Emanuele Crialese e il produttore Gianfranco Leone. Tutto l' "equipaggio" viene accolto da un prolungato applauso in sala, quasi che si avesse il presentimento che si stia per assistere al film vincitore del Leone d'oro. Chissà…
Perchè questo film adesso?
Emanuele Crialese: Nessun vero ragionamento vero, ma una visita all'Ellis Island Museum di New York. Sono stati gli sguardi dei nostri emigranti, ma anche degli emigranti di tutto il mondo, che guardavano l'obiettivo sospesi, storditi, sperduti, come se fossero appena sbarcati sulla Luna. La forza e la voglia di fare un film su questo viaggio che uomini molto coraggiosi hanno intrapreso viene da quegli sguardi. Non è stata una scelta politica, né un desiderio di descrivere sociologicamente quello che voleva dire emigrare, è semplicemente un'idea che mi è stata suggerita da quegli sguardi catturati in quelle fotografie.
Qualcuno potrebbe leggerla come una metafora dei nostri tempi, in cui siamo noi ad accogliere...
Emanuele Crialese: Sono un poco imbrarazzato visto che io ho sempre grossi problemi con il lancio dei messaggi, non riesco a lanciare messaggi. Quello che mi piace lanciare sono piuttosto gli interrogativi. Questa è gente che parte che lascia tutto, la cultura, la terra, la lingua, nella speranza di una nuova vita, e innanzitutto di un lavoro. Noi abbiamo dato un esempio nel mondo, siamo il popolo che emigrato di più in assoluto, siamo emigrati in venti milioni, non solo in America ma in tutto il mondo, e ci siamo integrati nelle nuove terre, abbiamo mantenuto la nostra identità di italiani e siamo riconosciuti in tutto il mondo come gente che lavora. Penso che siamo noi quelli che dovrebbero riflettere su cosa significa lasciare la propria terra, in mondo che forse s'impari ad accogliere questa gente disperata che vuole soltanto lavorare.
Sui costumi...
Emanuele Crialese: Ho lavorato con un giovane costumista, un esordiente, Mariano Tufano, e gli ho fatto capire che volevo toppe, rammendi, ricami. Abbiamo discusso a lungo, ma direi che Mariano potrà dirsi soddisfatto perché ha fatto un grandissimo lavoro. Quanto alla documentazione ho percorso due strade diverse: prima cosa, la documentazione storica. Ho studiato molto il contesto, e a un certo punto mi sono fermato e ho inizato a leggere le lettere degli emigranti. Ne ho lette centinaia, ed è attraverso l'espressione diretta dei sentimenti di quella gente che ho provato a immedesimarmi e di ritrovare lo spirito di un uomo di altri tempi. Perché l'uomo di altri tempi scriveva in un altro modo, era molto positivo, gli succedevano le peggiori tragedie ma riusciva sempre a trovare il lavo positivo delle cose. I miei nonni sorridevano anche di fronte alla miseria più nera. Io li cerco questi uomini che mi fanno sognare, e che mi hanno accompagnato in questo viaggio che è stato la fatica più grande che io abbia intrapreso fino ad ora.
Le comparse guardano sempre l'obiettivo e sembrano veri attori..
Emanuele Crialese: Sulle comparse volevo dire che che abbiamo scelto di girare a Buenos Aires e ogni singola comparsa è stata scelta da me su circa settecento persone, anche grazie all'aiuto dei miei fantastici aiuto registi. Ognuna di quelle persone ha vissuto quella storia anche se indirettamente: erano i figli dei nostri emigrati in Argentina. Quindi c'è stata una partecipazione incredibile sul set grazie alle loro storie, ci sono stati grandi momenti di commozione che mi hanno spinto a continuare a cercare qualcosa di vero.
Serviva un film sull'emigrazione italiana di inizio novecento? A quali film si è ispirato?
Emanuele Crialese: Se dovessi dire un riferimento direi America America di Elia Kazan, che ho preso per fare qualcosa di diverso; e non è stato affatto facile perchè io credo che lui abbia raccontato quella storia in maniera magistrale. Mi sono allontanato da Kazan perché lì c'è una visione un po' troppo trionfalistica dell'America, il paese della libertà, per cui siamo disposti a qualunque cosa, e così via. Qui ho voluto prendere le distanze, evitando di dare giudizi e fotografando una situazione che era frutto dell'iimaginazione, dell'immaginario collettivo, che ho trovato nelle lettere degli emigrati.
Come si inserisce il personaggio di Charlotte Gainsbourg?
Emanuele Crialese: E' una donna inglese che nel film si chiama Lucy, il mio sognatore sente il suo nome e lo interpreta a modo suo, e per tutto il film la chiama Luce. Luce è una donna dell'altro mondo, è una donna moderna, l'unica donna di tutta la nave che viaggia da sola, e che vive profondamente questo suo senso di solitudine. Per il resto volevo che rimaesse una figura misteriosa, come un fantasma, come un'idea, è un altro sogno di Salvatore. Era importante che fosse straniera, perché volevo che anche il mio rapporto con lei implicasse la necessità di trovare un linguaggio comune a culture diverse, universale. Con Vincenzo Amato ci capiamo con uno sguardo, con lei è stato tutto più difficile ma anche intrigante e miserioso. Per me Charlotte rimane ancora un mistero.
Si è posto qualche problema nel girare le parti oniriche?
Emanuele Crialese: Quando si fa quelcosa del genere, si teme sempre di essere giudicati presuntuosi, ma al di là di questo io mi sono lasciato andare. Sono stato molto incoraggiato dall'allegria di tutti i miei attori. Io mi confronto sempre con loro sulle idee che mi vengono in mente, loro sono il primo test: dai loro sguardi capisco se la cosa è relizzabile. A volte vengo criticato e a volte vengo incoraggiato. E così mi sono mosso anche stavolta.
Sul dialetto...
Emanuele Crialese: Il suono per me è importante quanto l'immagine. E trovo, ma è un'opinione personalissima, che tutti i nostri dialetti abbiano una carica emotiva che l'italiano non ha. Il dialetto è pià carnale, più sanguigno. Io il dialetto siciliano non lo parlo, sono nato e cresciuto a Roma, me l'hanno insegnato loro, e sentendoli parlare in dialetto, capendo ogni volta qualcosa di più, l'ho trovato così poetico che non ho potuto fare a meno di riproporlo. Credo che sia una ricchezza la nostra di avere dialetto e lingua standard. D'altra parte la 01 mi ha concesso inserire sottotitoli nei punti più ostici, un esperimento senza precedenti.
Si è ispirato a qualche arte figurativa?
Emanuele Crialese: Devo ammettere che mi sento poiuttosto ignorante in molti aspetti, tra cui proprio quello delle arti figuartive. Non vedo televisione, vado pochissime volte a teatro, non vado troppo al cinema, e non perchè sia uno snob, ma semplicemente perchè non sono capace ad organizzarmi.
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