22 Ottobre 2007 - Conferenza stampa
"Rendition - Detenzione illegale"
Intervista al cast.
di Andrea D'Addio
Alla conferenza stampa di Rendition, presentato alla seconda Festa del cinema di Roma, sono presenti il regista Gavin Hood, lo sceneggiatore Kelly Sane e due dei protagonisti: Jake Gyllenhaal e il premio Oscar Reese Whiterspoon.
Come vi siete approcciati a questa storia di violenza e denuncia?
Jake Gyllenhaal:Sono cresciuto con valori come la solidarietà e la non violenza, e oggi ci credo in prima persona. Già conoscevo la pratica della rendition, ne avevo letto sui giornali ed ero stato contattato da associazioni umanitarie come la britannica Reprieve e l'Unione americana per le libertà civili. Sono sempre convinto che la non violenza sia giusta in quasi tutti i casi, ma mi rendo conto che esistono situazioni complesse. Nel film si denuncia quanto sia sbagliato ricorrere alla tortura ma questo non è un film solo di denuncia, si cerca anche di spiegare perché chi usa questi metodi come strumento di difesa se ne senta in diritto.
Kelly Sane: E' partito tutto da un articolo che ho letto su di un giornale. Poi ho fatto delle ricerche e sono venuto a conoscenza di circa sei casi analoghi: vittime di questi sequestri che hanno cercato di ottenere un risarcimento. Ho contattato anche i loro avvocati e poi ho mixato tutte queste esperienze creando un singolo personaggio e narrando la sua storia. Gli avvocati che si sono occupati di questi casi, e che hanno poi visto il film, si sono complimentati dicendomi che ho riportato fedelmente molti dettagli di questa pratica. Siamo stati meticolosi, anche l'aereo in cui queste persone vengono costrette a salire è uguale, ne abbiamo cambiato solo il numero.
Reese Witherspoon: Solo dopo aver letto il copione ho capito realmente il problema. Avevo letto alcune notizie sui giornali, ma solo dopo aver interpretato questo personaggio, ho capito cosa significa essere legati a un musulmano in America. E non sarò mai più intollerante. Il mio ruolo mi ha molto toccato ed interessato perché è una donna molto simile a me, una borghese americana, madre che però è sposata con un mussulmano e con figli mussulmani. E' stato molto interessante immergersi in questo ruolo per avvicinarmi al pregiudizio razziale e credo mi sia stato utile per non avere mai quel tipo di pregiudizi. Guardando la televisione si fa l'abitudine alle scene di violenza, al dolore. Nel momento in cui il dolore viene inserito in una storia, la parte emotiva torna ad essere fondamentale.
In un dialogo tra Meryl Street e Peter Sarsgaard, si mette in luce come si parli comunque di sicurezza nazionale, di vite di persone…
Gavin Hood: Infatti la storia vuole dare un volto umano alla rendition: facile parlare di detenzioni arbitrarie e torture, poi ci si accorge che in ballo ci sono vite vere. Il discorso è più ampio e il punto non è scoprire se El-Ibrahimi sia colpevole o no, ma se siamo d'accordo con la politica utilizzata per scoprirlo. Quando ho iniziato a lavorare al progetto, due anni fa, speravo quasi che una volta pronto ormai fosse superato. Invece tratta un argomento sempre più d'attualità
Quale credete sarà l'accoglienza del pubblico? Pensate che questo film possa cambiare qualcosa nelle coscienze delle persone?
Gavin Hood: La nostra speranza è che induca a riflettere, che stimoli un dibattito attorno al problema e che porti a capire la necessità di regole.
Quando abbiamo iniziato a lavorare il film il problema era nato da poco, e sembrava che i casi esaminati fossero casi isolati.
Da quando abbiamo iniziato questo progetto sono passati due anni, e da problema quasi sconosciuto, con pochi casi denunciati, siamo passati ad un numero molto più considerevole. Il fatto è che sono passati due anni e purtroppo questa pratica rimane, il problema quindi rimane. Ciò che intendiamo fare vedere che dietro queste pratiche di rapimento e tortura ci sono degli uomini.
Il fatto che se ne parli è importante. Anche parlando con gli avvocati delle associazioni dei diritti civili che si occupano di questi casi, e con le vittime stesse mi sono reso conto che la finalità delle cause civili che loro intentano è soprattutto quella di far conoscere il problema: le cause infatti non vengono mai vinte. Grazie all'opera di queste persone, viene attirata l'attenzione dei giornali così il governo non può negarne l'esistenza.
La sceneggiatura è stata costruita, scrivendo prima di ogni personaggio, o il montaggio scelto, è stata una decisione successiva?
Kelly Sane: Ho scritto le storie separatamente, le ho elaborate dando a ciascuna vita propria e poi le ho fuse, facendo in modo che potessero costituire un corpus unico: mi ha aiutato molto Gavin Hood, che mi è stato affianco e assieme abbiamo pensato a come si potessero incastrare le storie mettendone in risalto i contenuti.
Meryl Streep incarna il "cattivo", il governo…
Gavin Hood: Si, ma il suo personaggio non è completamente negativo, anche lei ha le sue ragioni per agire in quel modo, con freddezza. E' una spiegazione che conferma quando dice a Jake Gyllenhaal. Come dice attraverso la tortura è riuscita a salvare 5mila persona. Lei conduce la sua guerra al terrorismo. Ciò che vogliamo mettere in evidenza è fino a che punto ci si può spingere senza regole.
Il problema di oggi è il giusto equilibrio tra il rispetto de diritti civile e la sicurezza del popolo americano.
E per ottenere questo equilibrio è necessaria la formulazione di regole altrimenti persone come quella che interpreta Meryl Streep non si fermeranno davanti a nulla. Se poi ci pensate, è la stessa C.I.A. che chiede regole chiare per i suoi agenti.
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