25 Ottobre 2008 - Conferenza stampa
"Good"
Intervista al cast.
di Andrea Gerolamo D'Addio

Al Festival di Roma, per presentare Good dell'austriaco Vicente Amorim, c'è il suo protagonista Viggo Mortensen e la prodruttrice Miriam Segal.

Nel film sono affrontate molte tematiche diverse, sempre con estrema profondità. Quale è stata la genesi di questo progetto?
Miriam Segal: CP Taylor, che ha scritto il libro da cui è tratto questo film, è un'ebrea e ha sentito il bisogno di parlare di tutti questi temi. Ci è sembrata un'operazione interessante, a partire dal personaggio principale. Il personaggio di Viggo, infatti, è ispirato a tre personaggi diversi di cui uno ha anche scritto un libro sull'eutanasia.

Mortensen, sei un'artista poliedrico. Oltre alla recitazione, alla musica e alla pittura, dove le piacerebbe cimentarsi o, comunque, da cos'altro si sente affascinato?
Viggo Mortensen: Per certi versi posso affermare che per me tutte le forme artistiche sono uguali. E' l'arte che conta, il mezzo è totalmente secondario. Tutti possiamo essere artisti basta essere attenti a ciò che succede. Più cresciamo e più dobbiamo essere consci di ciò che accade e come attore il mio lavoro è guardare al mondo e ciò che succede in più differenti contesti storico geografici possibili. Faccio film per me stesso e per imparare e con lo stesso spirito mi avvicino a qualsiasi situazione.

Una scena molto interessante del film è quella in cui lei indossa la divisa nazista. Come si è sentito con quell'uniforme?
Viggo Mortensen: E' stato particolare Qualche anno fa, sempre per lavoro, avevo dovuto lavorare indossando una divisa, solo che adesso non saprei ricordare come mi rapportai all'epoca con questa cosa. La prima volta che ho messo l'uniforme non ho avuto modo di pensare a quello che significava. era una caldissima giornata d'estate, ed era molto pesante e fastidiosa. Non andava bene una sola cosa e quindi mi sono concentrato per cercare di risolvere questi problemi. Solo dopo ho realizzato cosa significasse. Comunque sia l'intento principale di questa pellicola non è solo quello di mostrare l'orrore dei tedeschi al tempo di Hitler. Si tratta della storia di un uomo che si mette a confronto con la propria vita. Non è un film sul nazismo e gli ebrei. Si tratta di come possono comportarsi le persone in determinate circostanze, in qualsiasi posto e in qualsiasi momento, in Italia, così come in Germania o in qualsiasi altro paese...

Difficile interpretare un nazista?
Viggo Mortensen: A prima vista, quando si legge la sceneggiatura, si ha qualche reticenza ad avvicinarsi ad un personaggio di questo tipo, anche se non realmente cattivo. Quando però sono arrivato in Germania ho realizzato che non dovevo giudicarlo ma interpretarlo, senza commentarli. Il problema con film di questo genere è che non sono mai raccontati con obiettività, ma con pregiudizi. Il nostro, invece, è il racconto di un uomo e di un suo amico, non un film su Hitler e il nazismo, ma sulla gente che che ha vissuto quegli anni giorno per giorno. Facendo il film mi sono così subito chiesto che cosa avrei fatto al posto del protagonista. Era un approccio sbagliato: spesso non si pensa, ci si lascia assorbire dai problemi quotidiani, si ragiona giorno per giorno. Per questo poi il film non è né politicamente corretto o scorretto: nessuno giudica e rischia: all'inizio facilmente ti identifichi nel protagonista, ma poi quando alla fine lo vedi con l'uniforme rimanni schifato e quindi poi non è il film che non ti piace, ma come ti ha fatto sentire una volta identificato.

Uno dei temi del film è l'eutanasia che tocca l'eugenetica, un grande dibattito oggi, lei che posizione prende?
Viggo Mortensen: Penso che sia un grosso problema della nostra società. Il caso inglese di quel giocatore di rugby che ha deciso di andare in Svizzera a fare ciò che non può fare in patria è emblematico. Credo che la gente debba poter fare quello che vuole, dovrebbe essere un diritto per tutti fissare e specificare come la si pensa al riguardo e dare eventuali indicazioni.

Uno dei suoi prossimi film sarà The Road, una vera e propria apocalisse nel futuro, mentre quello presentato oggi, Good è un'apocalisse del passato. Quale è stato più difficile interpretare?
Viggo Mortensen: Good è un avvertimento, un reminder che deve far riflettere su ciò che è accaduto e potrà riaccadere se non si sta attenti e The road, in questi termini, gli è molto vicino. Ci sono diversi modi di guardare la sopravvivenza. In Good il mio personaggio cerca di sopravvivere prendendosi cura della madre, degli affetti, del suo lavoro, giungendo a piccoli compromessi che si accumulano, mentre in The road il problema è più immediato e si tratta di sopravvivere ad una catastrofe più imminente. Ci sono dei momenti della vita in cui combatti il fatto di essere corretto, non si vuole sentire gli altri che ti ricordano i tuoi errori o le tue incongruenze come succede al mio personaggio che per un periodo non vede il suo amico perché lo mette a disagio. Sono autogiustificazioni. Good è un film sul cogliere il momento, sul non posticipare.

Riferimenti quindi anche all'attualità...
Viggo Mortensen: Si, se si intende quando si dice: voterò il minore dei mali. Nel mio paese dopo tutti i disastri di Bush mezzo paese l'ha rivotato come da voi Berlusconi. Non ci si può lamentare poi di come vanno le cose. E' una cosa seria non prendersi la responsabilità per la propria vita, si innesca una reazione a catena che fa stare peggio anche gli altri. Se pensiamo agli USA nel 2000 e quelli di oggi, ai disastri che sono accaduti legislativamente, civilmente, economicamente, sembra impossibile che tutto sia successo in un così breve lasso di tempo, ma è così. Se Obama viene eletto non vuol dire che il problema è risolto, dobbiamo ricordargli ogni giorno quale sia la cosa giusta da fare.

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