15 ottobre 2001 - Conferenza stampa
Francis Veber
Intervista al regista di
"L'apparenza inganna"

di Valeria Chiari


Mai periodo è stato migliore per tentare di sorridere pur restando fedeli all'umana tendenza di riflettere sui temi più attuali. Del resto è stato attraverso la commedia che in questo secolo siamo riusciti a trattare temi tragici come la "Grande Guerra" o dolorosi come "Luci della città" o "Il monello" - per non citare che Chaplin - , puntando alla comicità per alleggerire l'animo senza far dimenticare l'importanza della riflessione personale. Francis Veber torna in Italia con un nuovo ed esilarante film.
Con un gruppo d'attori di provato talento e straordinaria comicità, Veber costruisce un perfetto mèlange di ironia e serietà, raccontando le vicissitudini dell'insulso Pignon costretto a fingersi omosessuale per salvarsi dal licenziamento.


Perché ha scelto attori non specificatamente comici come Daniel Auteuil e Gérard Depardieu per il suo film?
Innanzitutto perché Auteuil era esattamente il tipo di fisico che cercavo per il mio François Pignon: doveva essere poco appariscente e allo stesso tempo sostenere quella specie di resurrezione, di rivendicazione, che il personaggio ha a metà del film. E Daniel è davvero perfetto. Di Gérard mi aveva colpito il fatto che negli ultimi ruoli proponeva maggior sottigliezza, i suoi personaggi avevano tinte più sfumate. Proprio in nome di questa differenza era il solo che poteva interpretare il direttore del personale Santini, uomo rozzo e maschilista che finisce per legarsi di profondo affetto per Pignon. Pur di avere lui ho spostato le riprese di cinque settimane quando Gèrard è stato operato d'urgenza al cuore.

Lei vive oramai da 15 anni negli Stati Uniti, ma i suoi film restano indiscutibilmente francesi...
Si, ma è più naturale di quanto si immagini. Non è poi così facile sradicarsi dalle proprie origini culturali, soprattutto se poi si scrive commedie. La commedia è legata a filo doppio con le proprie radici culturali, anzi si nutre proprio di quelle. I soggetti possono essere universali, è il modo di trattarli che cambia, che può essere più o meno americano o europeo. Il mio modo è essenzialmente francese. La differenza culturale è sempre la parte più difficile da eliminare ed è sempre sostanziale.


  

Intervista a Francis Veber


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