15 Febbraio 2009 - Conferenza
"Verso l'Eden"
Intervista al protagonista.
di Andrea D'Addio
Incontriamo Riccardo Scamarcio a Berlino, un paio d'ore dopo la presentazione alla stampa del film "Verso l'Eden", in cui interpreta un immigrato dalla provenienza sconosciuta che attraversa l'Europa per arrivare a Parigi. Per l'attore pugliese una buona prova, ma soprattutto un'altra opportunità per proporsi fuori dai confini italiani dopo l'esperienza con Abel Ferrara ("Go go tales" e il prossimo "Pericle il nero")
Quello dell'immigrazione è un tema più che mai attuale, in Italia, come in Europa. Cosa manca alla gente per una reale comprensione del fenomeno?
Riccardo Scamarcio: L'informazione. E' un problema costante, eppure se ne parla solo a tratti, solo quando c'è la notizia dell'ennesima carretta di disperati che affonda o che arriva. Si vive di episodi e allarmismi, mai con progetti articolati ed orientati sul lungo periodo
Da pugliese quale sei, hai mai avuto una qualche esperienza diretta con immigrati clandestini prima che ti trasferissi a Roma?
Riccardo Scamarcio: Sì, esperienze sia buone che cattive. Una molto negativa, ma è normale che sia così: poiché parliamo di persone, ce ne possono essere di tutti i tipi. Nel '92 a Bari ebbi una brutta esperienza, ma preferisco non parlarne.
L'occhio di Costa Gavras ti segue per tutta la durata del film, senza mai lasciarti. Mai sei stato così protagonista di un film…
Riccardo Scamarcio: La sua intenzione era quella di creare una sorta di rapporto a due, da una parte l'immigrato dall'altro il pubblico, e portare la relazione fino ad una piena immedesimazione fra le due entità. Ci si accorge quindi di quanto si possa fare per il prossimo, visto che il prossimo potevamo essere proprio noi. Ho cercato di svestirmi di tutti quei trucchi o agganci a cui si fa ricorso quando si interpreta una persona lontana da noi: qui ero solo con i miei occhi e con quelli dovevo cercare di comunicare tutto. Costa Gavras ha cercato di infondermi una sorta di spirito surrealista con cui guardare un mondo apparentemente visto per la prima volta.
Fino ad ora il tuo ruolo più apprezzato invece era "Mio fratello è figlio unico" in cui recitavi accanto ad Elio Germano. In quel caso, come lavoraste in termini di coppia?
Riccardo Scamarcio: Sembra scontato dirlo, ma quando si lavora con un grande attore, è tutto più facile. Lì il lavoro che facemmo assieme ci portò ad una sorta di incontro-scontro che, bene o male, riusciva a trasmettere la giusta intimità che doveva intercorrere tra i personaggi
Quattro anni fa a Berlino ricevevi lo Shooting star, il premio come migliore attore emergente italiano. Quanto sei cambiato da allora?
Riccardo Scamarcio: Sono cresciuto, senza dubbio. Non solo nella scelta dei film, ma anche a livello umano. Rispetto a quando feci Tre metri sopra il cielo, sono un'altra persona. Ciò non toglie che quando interpretai quei ruoli, ero vicino a quei personaggi in termini di età. Con questo film mi sento invece parte di un progetto che non cerca tanto il successo popolare, né fare una denuncia propagandistica del problema, ma di mettere un occhio in situazioni di vita verosimili e vicine. Sono cresciuto in una generazione piuttosto catastrofista riguardo al futuro, e continuo ad essere pessimista, ma so che è possibile un mondo differente, dove tolleranza e violenza possano lasciare più spazio all'altruismo. Il cinema può esserne una vetrina: non ha il vincolo di essere realista, è arte, può farne quello che vuole della realtà.
Come operi le scelte dei film in cui partecipare?
Riccardo Scamarcio: Premetto che è difficile dire di no, ma è vero anche che è difficile capire quanto un film sia valido quando leggi solo il soggetto o la sceneggiatura. E così ciò che cerco all'interno di ogni storia è un personaggio che abbia profondità, che viva conflitti interiori e così possa sembrare credibile.
I tuoi prossimi film, "Prima linea" di Renato DeMaria e "Il grande sogno" di Michele Placido, rivisitano due momenti importanti della storia italiana. Che differenze vi hai trovato?
Riccardo Scamarcio: Mentre il film di Placido è una storia di crescita formativa, il film di De Maria è senza dubbio più complicato per ciò che concerne il mio ruolo, e cioè quello di un brigatista poi pentito. Il rischio polemiche è dietro l'angolo, abbiamo cercato di fare molta attenzione a tutto, a capire quanto il movimento brigatista fosse da condannare e non da giustificare, ma il timore che venga frainteso c'è.
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