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01 Settembre 2006 - Conferenza Stampa
"Daratt"
Intervista al regista e ai produttori.
di Andrea D'Addio
Alla conferenza stampa del film del Ciad, "Daratt", sono presenti in sala il regista Mahamat Saleh Haroun ed i due produttori. Uno di questi è il famoso regista Cheik Oumar Sissoko. Da diciannove anni un film africano non era nella rassegna principale del Festival, si inizia quindi da là con le domande
Cosa si prova ad essere stato scelto dopo un così lungo periodo di assenza di film del vostro continente, per rappresentare l'Africa al festival?
Haroun: Sono lieto di essere qui. C'è una cinofilia radicale in Ciad, e spero di rappresentarla. Non come qui in Italia che, da come mi pare di capire, non fa più quei film commedie che vedevo fin da piccolo e che ho sempre apprezzato. Non ne capisco il motivo, ma comunque non è affar mio. L'Africa è stata spesso considerata come periferia del mondo, e di conseguenza anche come luogo da cui non poteva provenire grande cultura. Credo invece che la periferia possa inondare il centro.
Il titolo, così come il film, richiama alla secchezza. Come vi siete approcciati a questa tematica?
Haroun: La storia raccontata richiedeva che tutto fosse secco. Le emozioni, i sentimenti. Non si può parlare di un ragazzino che deve andare ad uccidere un uomo senza cercare di far capire come tutto stia per avvenire nella più completa secchezza di emozioni. Esiste un cinema che ha fatto della violenza uno spettacolo, ma quando vedi un uomo con una pistola alla tempia tutto ti rimane impresso. A me è sucesso così.
Un film quindi in parte autobiografico…
Haroun: Tutti i film partono dalla memoria di chi li scrive. C'è sempre qualcosa di biografico. Io ho visto la guerra civile ed è impossibile che qualcosa non mi sia rimasto. Impossibile. Ed il film vuole proprio dire questo. Finché ci sarà la memoria degli orrori, finche la gente continuerà a rivendicare vendetta per episodi accaduti tanti anni prima, la guerra civile sarà sempre dietro l'angolo.
Una scelta specifica quella di far interpretare al boia il mestiere di panettiere?
Haroun: Non troppo, ma comunque era importante che fosse un lavoro come un altro. Volevo far capire come il male annidi in ognuno di noi, e che quando c'è la guerra siamo capaci di tutto. Il vicino di casa che non ti saresti mai aspettato che avrebbe fatto qualcosa di cattivo si trasforma. E questo perché tutti siamo in fondo un poco diabolici. Il 2boia" fa il panetteire perché cerca riscatto. Tutti i boia hanno ucciso sicuri di stare dalla parte dei vincitori. E poi cercano di dimenticare, ma è impossibile che le macchie non ritornino a galla. Nassarah non può chiedere perdono perché non ha voce per ovviare compie buone azioni e si affida alla religiore. Ma non basta.
Come sono stati scelti gli attori?
Haroun: Nessuno professionista. Il ragazzo che fa Atim non aveva mai fatto cinema. L'ho scelto attraverso un provino. Gli piaceva talmente tanto la poesia che pensavo che mai sarebbe potuto essere un cattivo attore.
Sissoko, si sente più regista o produttore?
Sissoko: Seppur mi piaccia produrre visto che è un lavoro di condivisione in cui si apprende oltre che suggerire, preferisco ancora fare il regista. Non ho un nuovo film in arrivo, ma solo la voglia di farne uno.
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