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Sleuth - Gli insospettabili
Potrebbero essere tanti gli aggettivi da associare a "Sleuth" di Kenneth Branagh, ma sicuramente tutti sono positivi e celebrano la grandezza di un regista, del suo cast, della troupe e degli scrittori che hanno realizzato un'opera veramente magnifica.
La pellicola, tratta dal testo teatrale di Anthony Shaffer e vincitrice del Tony Award, è stata riadattata per lo schermo dal Premio Nobel per la letteratura Harold Pinter.
Ciò che rende la sceneggiatura interessante è il fatto che per tutto il film gli unici personaggi sono due uomini, che si contendono una donna che non vedremo mai, esattamente come potrebbe succedere in una rappresentazione teatrale. Potrebbe sembrare noioso, ma i dialoghi, la regia e la bravura degli attori lasciano scorrere velocemente gli 86 minuti di durata del film, divertendo e coinvolgendo lo spettatore. Il succedersi degli eventi non è mai scontato, e fino all'ultimo fotogramma non si sa come va a finire.
La prima cosa che colpisce sono le inquadrature: fin dal primo fotogramma si nota la particolare capacità di Branagh di riuscire a portare il teatro sul grande schermo. Le riprese sono limpide, nitide, regolari arricchite qua e la da punti di vista bizzarri che creano movimento e dinamicità. Tutti gli eventi si svolgono all'interno di una splendida e moderna casa, che diventa anch'essa protagonista, non solo per gli arredi e la tecnologia imperante, ma anche perché si fonde con le emozioni dei protagonisti, emana testosterone e maschilismo e il telecomando che attiva ogni oggetto, dalla luce alle scale nascoste, è lo scettro del potere detenuto da colui che conduce il gioco.
Il giovane attorucolo Milo Tindle, di origini italiane, decide di incontrare il marito della sua compagna, l'attempato scrittore di successo Andrew Wyke, per convincerlo a concedere il divorzio. I due sono entrambi innamorati della stessa donna e la loro pacata discussione, "assolutamente british", si trasforma pian piano in una contesa, un gioco pericoloso che può finire solo con il predominio del più forte.
Michael Caine e Jude Law sono bravissimi a tenere la scena, la gestualità, la mimica, l'espressività delle loro parole, tutto il pathos che emanano si può percepire a fil di pelle.
È impressionante la loro capacità di interpretare i dialoghi, arguti divertenti, la cui caratteristica è di passare dal tono concitato e urlato della discussione al cortese, educato self control tipico inglese, senza alcuna pausa o sospensione, ma senza interrompere mai il ritmo. Il confronto tra i due personaggi si ripercuote, anche sugli stessi attori, che portano sullo schermo due generazioni e due stili differenti di recitazioni, ma entrambi competenti, capaci, strabilianti. Un vis a vis continuo, e in cui gli attori dimostrano tutta la loro bravura.
La curiosità: Jude Law, nei panni del giovane attore interpreta lo stesso ruolo che fu di Michael Caine nel '72, nella prima trasposizione cinematografica dell'opera.
La frase: "Strana gente gli italiani. La cultura non è il loro forte".
Monica Cabras
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