Senza arte né parte
L’arte di arrangiarsi è da sempre una delle caratteristiche principali degli italiani, che sia un pregio è ovvio, ma dipende da come "ci si arrangia".
Già nel ’55 il cinema aveva immortalato questa "abitudine" nella famosa commedia: "La banda degli onesti" diretta da Camillo Mastrocinque e con interpreti Totò e Peppino De Filippo. Ora il regista e artista contemporaneo, nonché docente all'Accademia delle Belle Arti di Roma, Giovanni Albanese, riprende i temi e i meccanismi tipici della commedia nostrana e li rielabora modernizzandoli e adattandoli, dando vita, come allora, ad una favola sociale semplice e ben strutturata, divertente e un po’ farsesca.
A distanza di otto anni da "A.A.A. Achille", sul problema della balbuzie, il regista torna a parlare di temi a lui cari ed ecco che mescola il problema del precariato con quello dell’arte contemporanea. Ironizzando e giocando sui paradossi, disegna con brevi tratti il mondo contemporaneo, portando sulla scena le passioni di un gruppo di amici: Enzo (Vincenzo Salemme), Carmine (Giuseppe Battiston) e Bandula (Hassani Shapi), che lavorano come precari in un rinomato pastificio. Licenziati, si trovano a fare i guardiani grazie ad Aurora (Donatella Finocchiaro), moglie di Enzo che ha convinto il loro ex datore di lavoro ad aiutarli, certo con una paga ben misera.
Vigilando su opere d’arte contemporanee dal valore inestimabile, spinti dal bisogno e dalla rabbia di vedersi umiliati dal "signorotto" di turno, decidono di fabbricare copie false e rivendere gli originali a galleristi senza scrupoli, ma...
Il film, la cui struttura ricalca pienamente la linearità di "Nessuno mi può giudicare", appare come una rielaborazione della famosa "Banda degli onesti", però come ha sottolineato Vincenzo Salemme: "..ha poco di quel film, forse solo l'innocenza dei personaggi. ‘La banda degli onesti’ è una farsa vera e propria, questa invece è una commedia dal tono decisamente british. Qui non ci sono quelle esasperazioni e quelle forzature che Totò e Peppino facevano per fare ridere la gente, per questo penso che sarebbe stato profondamente sbagliato ispirarmi a loro". E’ la rappresentazione realistica, sobria e ironica di due mondi: quello dell’uomo comune e quello dell’arte contemporanea, due mondi lontani per stile di vita e concezione, ma al tempo stesso vicini. Il regista si mette nei panni dell’uomo comune di media cultura e osserva e giudica l’arte contemporanea, creando così situazioni paradossali e gags, ridendo del modo di pensare tutto italiano, creando così un’opera piacevole e divertente, peccato però che a volte alcuni personaggi siano dimenticati e si vengano a creare situazioni di stallo, da cui il regista riesce ad uscire grazie a soluzioni già viste. Il film non appassiona, ma sicuramente fa divertire, coinvolgendo senza impegno lo spettatore.

La frase: "Un ladro di galline che si sputtana per un gratta e vinci".

Federica Di Bartolo

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