Room
Cosa vuol dire essere privati della propria libertà, del proprio futuro per sette anni? Cosa vuol dire nascere e crescere per cinque anni vivendo in un angusto spazio e non conoscendo niente del mondo? Può l’amore di una madre per il proprio figlio, e viceversa, salvarli entrambi? È possibile poi tornare alla vita reale?
Tutte domande che sorgono naturali sin dai primi minuti del nuovo film di Lenny Abrahamson, già firma dell’ottimo “Frank” con Michael Fassbender. “Room”, infatti, ci fa conoscere la storia di Joy, inizialmente conosciuta solo come Ma, e di Jack, mamma e figlio, costretti a vivere - lei da sette anni, ossia dall’età di diciassette anni, lui da 5, ovvero dalla nascita – in una stanza di circa 10mq da cui non possono uscire e imprigionati da una porta con un codice che solo il “vecchio Nick” conosce. Lui è l’uomo che li ha rinchiusi lì e che la sera va a fare visita a Ma, costringendo il piccolo a nascondersi dentro l’armadio. La donna ha cercato in tutti i modi di proteggere Jack dalla verità, inventandosi un mondo fantastico e nascondendogli l’esistenza dell’universo al di fuori di quella stanza dove ci sono solamente poche cose, come la sedia numero 1, la sedia numero 2, il tavolo, il lavandino e l’armadio. Ma in cuor suo la donna non ha abbandonato la speranza di riuscire un giorno a liberare se stessa e il suo piccolo.
La svolta avviene al quinto compleanno di Jack, quando la madre gli rivela che tutto, o quasi, quello che vede in televisione è reale ed esiste in un mondo al di fuori della stanza in cui vivono, dove il cielo non è piccolo come quello che loro vedono dalla finestra sul tetto, dove esistono tante altre persone, animali e cose. Una rivelazione che per Jack è difficile da digerire e a cui si aggiungono i piani di fuga della madre che inevitabilmente lo coinvolgono. Ed è proprio la scena in cui Jack libera se stesso e la madre dalla prigionia, quella di maggiore impatto emotivo della pellicola che comunque tiene un buon ritmo per tutta la sua durata ed è splendidamente interpretata dai due protagonisti, come dimostra anche il meritato Oscar a Brie Larson.
Il tema più importante di “Room” è il forte legame che unisce madre e figlio, un amore viscerale che salva entrambi, non solo dalla prigionia, ma anche dal difficile ritorno, o ingresso, alla vita reale. Se nella prima parte, infatti, questo amore era teso a proteggere il bambino dalla sconvolgente verità e a tenere in piedi la speranza della donna di uscire un giorno dall’ incubo, nella seconda il loro legame aiuta entrambi a superare l’inevitabile disagio del ritorno al mondo reale e “allargato” rispetto a quello in cui hanno vissuto per molto tempo. Un mondo per Jack sconosciuto e, fino a poco tempo prima, considerato immaginario e irreale, pieno di microbi, di tante facce, dell’attenzione spasmodica dei media alla loro storia, dalla difficoltà di rapportarsi ad altri essere umani che non fossero Ma. La paura di farsi tagliare i capelli lunghi per timore di perdere la sua forza, il non rivolgersi mai direttamente alle persone, ma sussurrare quello che vuole dire nelle orecchie della madre perché lei lo riporti poi agli altri, la difficoltà a fare cose semplici, come anche semplicemente salire le scale, sono tutte evidenti dimostrazioni di quanto il mondo di Jack sia cambiato e, almeno inizialmente, gli incuta timore. Ma se lentamente il bambino dimostra di riuscire a superare la situazione, ad avere un crollo è proprio la madre che, dopo aver lottato per sette anni, seguendo regole, violentata nel corpo e nello spirito, cede nel momento in cui torna alla vita reale, in un mondo protetto, nella sua vecchia casa insieme alla madre e al nuovo compagno di lei, circondata da affetto e comprensione.
Ma anche in questo contesto è ancora una volta l’amore che unisce Jack e Joy a dimostrarsi l’argomento principale della pellicola.
Una delle cose più impressionanti del film, oltre la bravura straordinaria dei due interpreti, è la profondità dei personaggi e la complessità delle loro emozioni e dei loro caratteri, cosa che non dovrebbe sorprendere visto che a scrivere la sceneggiatura è la persona che meglio conosce Jack e Joy, Emma Donoghue, autrice del romanzo su cui “Room” è basato, “Stanza, letto, armadio specchio”.
Per quanto riguarda la regia, Abrahamson dimostra ancora una volta di essere un bravo regista, capace di creare due film in uno, entrambi interessanti e ben fatti, riuscendo a non cadere nel melodramma e nella lacrima facile, rischio sempre dietro l’angolo con tematiche di questo tipo. Ha diretto il tutto con rispetto, ma in maniera allo stesso tempo forte e convincente, facendo capire anche attraverso le immagini e le scelte registiche le emozioni dei personaggi e il disorientamento che provano, in particolare durante la fuga del piccolo Jack.
In sintesi, una pellicola emozionante, mai esagerata, con due bravissimi interpreti capaci di farci entrare in sintonia con loro e di dare vita a due personaggi complessi e convincenti, estremamente reali e forti.
La frase:
"Nel mondo c’è spazio per tutti".
a cura di Redazione FilmUP.com
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