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Ritorno a l'Avana











Cinque amici si rincontrano, dopo diversi anni, a casa di uno di loro e trascorrono la nottata insieme, ricomponendo ricordi passati e tirando le fila delle loro esistenze. Il luogo del loro incontro è l’Avana, città dove hanno trascorso la loro adolescenze, in cui alcuni sono rimasti e dalla quale altri, tra cui Amedeo (l’Ulisse di ritorno a casa), hanno preso le distanze.
Laurent Cantet ci racconta di una città e della sua trasformazione tramite gli sguardi disincantati di un gruppo di amici che, dialogando, cercano di rievocare quel sentimento che un tempo li accendeva e li univa. “Sembrava che stessimo scrivendo la storia”, si dicono a più riprese, “lo studio era un vero strumento di formazione e conoscenza”, ogni scelta era supportata da una forte motivazione.
La città e il clima che vengono dipinti dalle parole dei cinque, seppur precari e ancora in costruzione, sembrano attraversati da un’autentica fiducia nel cambiamento. I volti che ritroviamo, adesso, al tavolo, sembrano invece aver perso una chiara direzione e vagare disillusi in un mondo sì in trasformazione ma che non sa nemmeno dove sta andando.
Così, allora, i cinque amici disputano, distruggono l’uno l’immagine dell’altro, fanno emergere disillusioni, svelano sconfitte e, a poco a poco, cercano di far chiarezza in un panorama annebbiato.
Cantet è molto bravo a mantenere alti ritmo e attenzione, a mescolare toni e a costruire, nel frattempo, dei caratteri credibili e stratificati. I suoi personaggi, ottimamente interpretati, costituiscono ognuno un aspetto diverso dell’affresco, intimo e sociale a un tempo, che gradualmente va’ a comporsi. Con una grande capacità d’osservazione e ascolto, Cantet sa dove posizionare la macchina da presa e come catturare le tensioni e i non detti che attraversano la conversazione. In particolare, è molto efficace il modo in cui il trascorrere, implacabile, del tempo venga restituito dagli sguardi dei suoi protagonisti, incapaci di riconoscersi nel presente e vivi soltanto nell’immagine riattivata da fotografie e canzoni d’epoca. Il loro sembra un continuo gioco di decostruzione e ricostruzione delle certezze, reso possibile dal classico processo di svelamento individuale che Cantet orchestra con grande senso della misura.
Gradualmente, così, vediamo dei caratteri denudarsi e, in parallelo, una città rivelarsi in tutta la sua cruda ambiguità: vediamo tante strade confuse incrociarsi e inglobare nel loro movimento morale, credenze, ciò che è giusto e ciò che è vero. E intravediamo allora, nella geografia di questa città, forme e declinazioni di una condizione esistenziale, sociale, quella dell’uomo contemporaneo.

La frase:
"Il paese in cui siamo non esiste più. Non sa nemmeno dove sta andando".

a cura di Stefano La Rosa

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