Revolutionary Road
Prologo: si conoscono, lui fa lo scaricatore di porto e lei studia per diventare attrice, si uniscono e tempo dopo litigano in automobile a causa di uno spettacolo teatrale della donna andato non troppo bene.
A undici anni di distanza da "Titanic" (1997) di James Cameron, i candidati al premio Oscar Kate Winslet e Leonardo Di Caprio tornano insieme sul set per incarnare i coniugi con prole April e Frank Wheeler, residenti nella strada che dà il titolo sia al film che all’omonimo romanzo di Richard Yates su cui si è basato Sam Mendes, acclamato regista di "American beauty" (1999).
Non a caso, ambientato nell’America del 1950, questo graffiante ritratto matrimoniale sembra quasi incarnare le fattezze di una versione retrò della nota pellicola interpretata da Kevin Spacey e Mena Suvari, con i due protagonisti che, da sempre consideratisi speciali, diversi e desiderosi di vivere l’esistenza ispirandosi ad alti ideali, finiscono per ricalcare proprio i modelli spesso disprezzati nel momento in cui si trovano a proclamare in maniera orgogliosa la loro indipendenza dalla monotona vita della provincia.
Infatti, mentre il Frank dell’infallibile Di Caprio diventa un impiegato prigioniero di una routine quotidiana che gli toglie qualsiasi velleità, la April di una Winslet sempre più erede della grandissima Meryl Streep assume il ruolo di casalinga infelice in cerca di realizzazione e assetata di passione, tanto da escogitare un piano per trasferirsi a Parigi con il compagno al fine di ricominciare a vivere.
Supportato dalla bella fotografia di Roger Deakins ("Non è un paese per vecchi") e da un lodevole comparto artistico che annovera il costumista Albert Wolsky ("La guerra di Charlie Wilson") e la scenografa Kristi Zea ("The diparted-Il bene e il male"), quindi, Mendes dimostra ancora una volta di trovarsi a suo agio più quando tratta la fine dei sogni familiari che quando affronta le tematiche gangsteristiche di "Era mio padre" (2002) e quelle belliche di "Jarhead" (2005).
Con una bella colonna sonora di vecchi pezzi slow comprendente, tra gli altri, la sempreverde "Crying in the chapel", infatti, gestisce a dovere i non pochi minuti di visione (119 circa) che, tirando in ballo anche il delicato tema dell’aborto, si rivelano arricchiti di tutt’altro che infelici soluzioni registiche.
Ed il principale fine è quello di sollevare un eterno quesito: possono due persone staccarsi dalla “normalità” e riuscire a restare insieme?
La frase: "Siete una coppia fantastica, lo dicono tutti".
Francesco Lomuscio
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