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Red Sparrow

La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com

di Giacomo Vitali20 febbraio 2018Voto: 8.5
 

  • Foto dal film Red Sparrow
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Nella cornice della Russia di Putin, periodo in cui è ambientata la pellicola “Red Sparrow”, emerge un inquietante affresco dell’addestramento e dei metodi, spesso brutali, dei servizi segreti dell’SVR. Una seconda implacabile guerra fredda, combattuta nella clandestinità e senza scrupoli, anche a costo di sacrificare gli affetti più cari sull’altare del patriottismo.

Dominika, ex étoile dell’Opera di Mosca, si trova invischiata in una rete di complotti per il potere molto più grande di lei. Due le alternative: soccombere o cambiare pelle e partecipare a questo gioco pericoloso, dove la ragazza non è che una misera pedina. Lawrence non si limita a tracciare un quadro asciutto della Russia post sovietica, ma penetra con profondità nella psicologia e nelle motivazioni che muovono decisioni, scelte e azioni criminali di chi, disperato e senza futuro per un grave incidente sul lavoro, si vende al proprio Stato per amore della famiglia e per ritornare alla ribalta, fino a perdere ogni sentimento di umanità.

Nella disumanizzazione generale dei protagonisti, emerge la figura di Nate, agente della CIA, impegnato in un’indagine delicatissima fra Mosca, Budapest e Vienna, che, nonostante la professione non gli consenta di cedere all’emotività, intravede da subito l’aura di malinconia che avvolge la ragazza. Le due spie entrano presto in empatia, tuttavia il potere che li accomuna, di leggere nella vita delle persone, non li salverà dalla trappola che essi stessi si sono creati.

Una successione inarrestabile di colpi di scena e una grande metafora della tragicità della vita umana, dove apparenza e finzione si confondono con la realtà ingannando gli spettatori e travolgendoli in un vortice di tensione fino all’ultimo respiro. In questa partita a scacchi che è la vita non vi sono fantomatici eroi o eroine, né un trionfo del bene sul male, contano soltanto l’ambizione e l’astuzia, la capacità spietata di manipolare la mente fino a trasformarsi da vittime in carnefici, da pedine a giocatori, da protette a protettrici.

Nei dialoghi serrati di questa spy novel spiccano tra tutti, oltre a una giovanissima e sensuale Jennifer Lawrence, un perfido Matthias Schoenaert, dallo sguardo seducente ma dalla personalità vile e meschina, e una straordinaria Charlotte Rampling, forse il simbolo più riuscito della macchina della morte dell’SVR. Una pellicola giocata soprattutto sugli sguardi, sulla gestualità e su una corporeità molto insistita, che non fa sconti di crudezza, nelle scene di nudo, di violenza gratuita e di tortura, e non risparmia nemmeno momenti di altissima suspense.

Il regista mette abilmente a nudo i lati più oscuri della natura umana e le contraddizioni insite nella carriera di un agente dei servizi segreti, perennemente in balia degli ordini dei superiori e della sete di vendetta dei capi di Stato, impossibilitato a mantenere una propria inviolabile sfera di intimità, a dedicare tempo alle relazioni più genuine e alla costruzione di un progetto di coppia o di vita familiare. Ogni personaggio finisce per isolarsi e rintanarsi nella propria solitudine e per diventare a sua volta un mostro a servizio di altri mostri, un automa spogliato della dignità, freddo e calcolatore, assolutamente impassibile, eppure non del tutto alieno dalla compassione e dall’amore.


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