Red 2
Tornano gli agenti segreti pensionati di “Red” (2010), arzilli uomini spietati e pronti a tutto che il governo vuole fuori dai giochi a ogni costo, pur di insabbiare i propri scheletri nell’armadio.
Stavolta il Frank Moses di Bruce Willis deve vedersela con un complicato intrigo internazionale che lo porta da una parte all’altra del mondo, affiancato dalla sua compagna Sarah alias Mary-Louise Parker e dallo stralunato collega Marvin, con le fattezze di John Malkovich.
Sul proprio cammino incontra una serie di volti vecchi e nuovi, dall’amica Victoria, ovvero Helen Mirren, allo spietato sicario Han Cho Bai, nei cui panni troviamo Byung-hun Lee, e la ex-fiamma sovietica Katja, incarnata da Catherine Zeta-Jones; senza contare lo smemorato scienziato Bailey, interpretato da Anthony Hopkins, che si rivela fondamentale per l’esito della missione.
Ma, tra una sparatoria e l’altra, sembra essere il divertimento a tutto tondo l’elemento su cui punta maggiormente questo sequel che, richiesto dopo il successo del modestissimo capostipite, diretto dal tedesco Robert Schwentke prendendo spunto da un fumetto DC di Warren Ellis e Cully Hammer, vede al timone di regia l’americano Dean Parisot, autore del “Dick & Jane-Operazione furto” (2005) con Jim Carrey.
Eppure, a differenza del film precedente, l’ironia qui non viene miscelata nella giusta maniera con l’intrattenimento, in quanto Parisot lascia sciolta la parte becera del film a discapito della trama spionistica che fa da collante al tutto.
Infatti, abbiamo siparietti coniugali tra Willis e la Parker (quest’ultima molto più sopra le righe rispetto al numero uno), con tanto di scenette di gelosia nei confronti del personaggio interpretato dalla Zeta-Jones, oltre ad accenni di bizzarra follia da parte di Malkovich, la cui presenza non è molto motivata; per concludere con i tocchi di british style affidati ai due premi Oscar Mirren e Hopkins.
E le intenzioni lasciano quasi pensare a una parodia del franchise “Mission: impossible” inscenata in modo da apparire più intelligente che si può; ma, in verità, l’operazione non riesce nella sua fluidità narrativa, tanto da annoiare in più di una situazione e da rendere l’intrigo alla base dello script di Jon e Erich Joeber (gli stessi sceneggiatori del primo capitolo) un elemento fuori luogo per quello che sarebbe dovuto essere un prodotto fracassone giostrato meglio.
Qua si assiste giusto a un gioco al rialzo, riempendo la visione di facce note (oltre ai nomi citati, tornano Brian Cox e Davd Thewlis) e tempestandola di esplosioni e scontri a fuoco nell’inutile tentativo di nascondere il vuoto su cui si struttura il poco riuscito insieme.
La frase:
"Quello che succede nel Cremlino, resta nel Cremlino".
a cura di Mirko Lomuscio
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