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Poveri ma ricchissimiLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Francesco Lomuscio11 dicembre 2017Voto: 6.5
Ricordate la famiglia Tucci, che, povera all’inverosimile e residente nella laziale Torresecca, vide cambiare la sua tutt’altro che rosea esistenza quando vinse inaspettatamente cento milioni di euro?
Accadeva in “Poveri ma ricchi”, che, diretto nel 2016 da Fausto Brizzi ricordando in un certo senso la analoga situazione di partenza di “Tutti possono arricchire tranne i poveri” di Mauro Severino, altro non fu che il rifacimento tricolore della commedia francese “Les Tuche”, firmata cinque anni prima da Olivier Baroux e che sembra aver segnato l’inizio di una vera e propria saga.
Invitando anche a riflettere sul come un patrimonio necessiti di essere gestito intelligentemente, senza alcun dubbio è stato uno dei migliori lavori dell’autore di “Notte prima degli esami”; il quale, a un anno di distanza, riporta in scena il Danilo Tucci di Christian De Sica, ancora affiancato dal figlio Kevi interpretato da Giulio Bartolomei, dalla moglie Loredana con le fattezze di Lucia Ocone, da nonna Nicoletta alias Anna Mazzamauro, dalla figlia Tamara, impersonata da Federica Lucaferri, e dal cognato Marcello, ovvero Enrico Brignano, ora in attesa di diventare padre. E, oltre a Valentina, consorte di quest’ultimo nuovamente incarnata da Lodovica Comello, è il padre di lei Libero – pregiudicato nei cui panni troviamo Paolo Rossi – ad aggiungersi alla scatenata combriccola che, sempre spalleggiata dal Gustavo in possesso dei connotati di Ubaldo Pantani, intuisce che l’ostentazione del lusso non è più sufficiente e, di conseguenza, che la vera svolta è rappresentata dal potere. Quindi, con il capofamiglia pronto a mutare il proprio capello riccio e biondo in una pettinatura fin troppo simile a quella sfoggiata dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, è la concretizzazione di una sorta di “Brexit Ciociara” in modo che il loro paesino esca dall’Italia a fornire la miccia per dare il via ad una oltre ora e mezza di visione a base di momenti esilaranti e battute mirate a far ridere lo spettatore. Oltre un'ora e mezza di visione che non manca di regalare divertimento fin dai suoi titoli di testa, ma che, a differenza del primo capitolo, efficacemente costruito su un’evoluzione narrativa dal sapore non poco vanziniano infarcita in maniera evidente di critica agli arricchiti, sembra qui tendere ad accontentarsi di poggiare su una struttura a base di quasi esclusiva sequela di sketch. Infatti, tra una sempre eccezionale Ocone che si riserva alcune delle migliori uscite comiche ed una gag in stile americano che costringe i difficilmente disprezzabili De Sica e Brignano ad indossare rispettivamente un costume da Babbo Natale e da elfo, risulta evidente che, pur non essendo assenti esplicite frecciatine verbali al mondo della politica italiana, l’intento della sceneggiatura – concepita a tre mani dal regista stesso insieme al fido Marco Martani e a Luca Vecchi dei The Pills – sia in maniera principale quello di fornire la giusta dose di risate volta ad intrattenere il pubblico senza annoiarlo. Impresa, questa, in cui, comunque, riesce tranquillamente, tanto da far quasi dimenticare in più occasioni la irrilevante parentesi con un Massimo Ciavarro corteggiatore e la sottotrama relativa ad all’arrivo di quella che è, a quanto pare, una figlia di cui papà Tucci non sapeva l’esistenza. La frase dal film:
"Noi italiani semo campioni a lamentasse" I FILM OGGI IN PROGRAMMAZIONE: In evidenza - Dal mondo del Cinema e della Televisione. |
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