Pontormo - Un amore eretico
Pittore solitario, introverso e tormentato, il Pontormo fa parte della vasta e geniale cerchia dei pittori fiorentini che fecero del '500 il secolo della Maniera Moderna. Allievo di Leonardo e Piero Di Cosimo e ancor prima del Ghirlandaio, Jacopo Carucci detto il Pontormo visse una grave crisi personale negli anni della maturità che investì la sua attività artistica nel corso della lavorazione agli affreschi del coro di San Lorenzo, commissionati dal duca Cosimo de' Medici negli anni '30, in seguito conclusi dall'amico e allievo Bronzino e distrutti nel 1738 per volere dell'ultimo esponente della casata de' Medici.
Il regista Giovanni Fago punta la propria attenzione su questi ultimi anni di vita, tentando di raccontare i travagli e le pene artistiche di un Pontormo ormai anziano alle prese con i propri fantasmi e una salute cagionevole. Ispirato ad alcune pagine del suo diario, Fago racconta così del desiderio di un'altra stagione da vivere e dei dubbi terribili sul proprio valore come artista. Il sessantunenne Pontormo, concentrato sull'affresco e ossessionato dalle crepe che si formano sulle pareti della cappella, conosce una giovane donna nell'Arazzeria Medicea alla quale affida la lavorazione di un disegno per il nuovo arazzo, Anna, una giovane esule fiamminga diventata muta dopo che le è stata tagliata la lingua durante la Guerra delle Fiandre. Accusata di stregoneria Pontormo tenta di aiutarla testimoniando a suo favore davanti al grande inquisitore.
Tutto si svolge in una Firenze che conservando ancora vivo il ricordo della tragica fine di Gerolamo Savonarola vive sia una crisi politica che segnerà la fine del dominio della Signoria e dei Principati italiani sia una religiosa con il drammatico confronto tra Riforma e Controriforma nel corso del Concilio di Trento, mentre l'arte subisce le inquietudini dell'uomo che proclama ora la propria centralità nell'Universo.

Purtroppo però la vita semplice del pittore e il fantasma della donna che popola le sue notti non sono in grado di tenere desta l'attenzione dello spettatore. I ritmi sono lentissimi e decisamente televisivi e la sceneggiatura è insopportabilmente didascalica: il racconto non riesce così a trovare una giustificazione nel suo svolgimento e la macchina da presa, che passa da un primo piano all'altro, sembra più ispirata dalle tecniche utilizzate dalle soap opera nazionali. Le lunghe considerazioni sul significato dell'arte e sul suo dovere di innalzarsi oltre il pensiero e la fisicità umana, o tutte le parole spese dai Signori per spiegare il momento storico che turba la politica del tempo, rendono ancora più monotono l'andamento del film, ancor più appesantito da un commento musicale al limite dell'ossessivo.

Valeria Chiari

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