PPZ - Pride + Prejudice + Zombies
Uno zombi in possesso di un cervello è in cerca di altri cervelli.
Pare che tutto abbia avuto inizio nel momento in cui, prima ancora di rientrare tra i finanziatori del film, Natalie Portman – vincitrice del premio Oscar per la sua interpretazione ne "Il cigno nero" (2010) di Darren Aronofsky – ha telefonato alla produttrice Allison Shearmur per dirle "Ci conosciamo da diversi anni, devi leggere questo libro, s’intitola ‘Orgoglio e pregiudizio e zombie’".
Libro scritto da Seth Grahame-Smith – tra l’altro, sceneggiatore de "La leggenda del cacciatore di vampiri" (2012) di Timur Bekmambetov e "Dark shadows" (2012) di Tim Burton – e che, come il titolo stesso lascia intuire, immerge l’Inghilterra d’inizio Ottocento in un universo alternativo infestato da morti viventi seguendo la vicenda raccontata nel super classico letterario "Orgoglio e pregiudizio" di Jane Austen.
Infatti, ne sono anche in questo caso protagoniste le sorelle Bennet, stavolta cresciute imparando le varie arti marziali e l’utilizzo di diverse armi e il cui padre, con le fattezze del Charles Dance della serie televisiva "Il trono di spade", non pensa altro che a maritarle con i migliori partiti della zona.
E non si tratta dell’unico nome proveniente dalla popolare trasposizione del ciclo di romanzi a firma di George R. R. Martin, in quanto abbiamo anche Lena Headey nei panni dell’esperta guerriera Lady Catherine de Bourgh nel corso della oltre ora e quaranta di visione la cui protagonista è, però, la grintosa, indipendente e perspicace Elizabeth Bennet cui concede anima e corpo la Lily James vista in "Cenerentola" (2015) di Kenneth Branagh e ne "Il sapore del successo" (2015) di John Wells.
La Elizabeth Bennet che si trova costretta ad allearsi con l’affascinante ma arrogante gentiluomo Mr. Darcy alias Sam Riley per liberare il paese dalla terribile minaccia dei morti viventi, praticamente un’alternativa alle guerre napoleoniche, nonché un surrogato della classe sociale più umile.
Ma, considerando i generi e le tematiche miscelate e, soprattutto, il fatto che dietro la macchina da presa si trovi il Burr Steers che – ancor prima di essere il regista di "17 again – Ritorno al liceo" (2009) e "Segui il tuo cuore" (2010) con Zac Efron – finiva ucciso nello splatterissimo "Intruder" (1989) di Scott Spiegel e in "Pulp fiction" (1994) di Quentin Tarantino, era lecito aspettarsi un bizzarro spettacolo d’azione grondante liquido rosso e acrobazie con le armi da taglio non troppo distante da "Hansel & Gretel: Cacciatori di streghe" (2013) di Tommy Wirkola.
Invece, man mano che qualche accenno steampunk fa capolino e che il Doctor Who del piccolo schermo Matt Smith incarna l’esilarante pastore Parson Collins, il tutto non si riduce altro che all’ennesima riproposizione degli intrecci amorosi di matrice austiniana in cui i cari vecchi ritornanti dalla tomba – qui dotati anche dell’uso della parola – appaiono lasciati di contorno e tutt’altro che fondamentali.
Tanto che, tra totale assenza di memorabili sequenze di combattimento e ristrettissimo numero di deflagrazioni di crani, non importa molto neppure quale sia la maniera giusta per eliminarli... al servizio di un’operazione in cui rimangono da apprezzare soltanto i colori di costumi e scenografie e che, probabilmente, potrà conquistare soltanto i fan proto-"Twilight".
La frase:
"La galanteria non è ancora morta".
a cura di Francesco Lomuscio
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