“L’altra verità” ci presenta un Loach di fronte a una guerra che, come tutte, si porta dietro imbrogli e ferocia, temi sui quali uno come lui non può tacere. Tra i tanti, ci sono i cosiddetti “contractors”, i quali, al soldo di potenti privati, altro non sono che mercenari. Essi in realtà sono pagati profumatamente per compiere azioni di morte con cui i loro padroni (le varie corporation) non si sporcano le mani. Si tratta perlopiù di uomini corrotti nel profondo che, tornati nei loro paesi, spesso importano violenza, mentre si parla, da parte dei loro padroni, di democrazia da esportare per mezzo della guerra. Ma a questa tematica Loach ha voluto mescolare quella dell’amicizia e della vendetta per la morte dell’amico più caro, tema trattato quasi come un thriller, dove alla fine importa soprattutto trovare il colpevole, cosa che stravolge il senso di tutto il resto. Ci si trova perciò davanti a un mancato approfondimento del problema generale, per ripiegare su un racconto più individuale e un po’ scontato nelle modalità narrative. Non siamo di fronte a un film banale o scolorito; Loach è un grande e la macchina da presa per lui non ha segreti, quindi il ritmo, la fotografia, le inquadrature semplici e raffinate, un certo malinconico simbolismo del paesaggio sul lago, le scene della tortura, forti ma non compiaciute, sono brani degni di lui. Ma nell’insieme il film non convince, poiché la parte che aspira a essere documento è già vista, con le riprese, prima e durante, di quello che il conflitto voluto da Bush e compagni in Iraq ha provocato. In quanto al personaggio principale, le sue ricerche sulla fine dell’amico danno di lui stesso un’immagine sempre peggiore, via via che si avvicina alla verità. Essa quindi non è liberatoria perché dimostra che il marcio della guerra gli è ormai passato dentro, tanto da portare al suicidio. L’uomo infatti, che nel frattempo si è innamorato della compagna dell’amico, non può più sopportare se stesso e ha coscienza dell’impossibilità di cambiare. In poche righe la trama. I fatti prendono l’avvio da Routhe Irish, la strada più pericolosa del pianeta, collocata in Iraq. Lì Frank, che l’amico Fergus ha convinto ad accettare l’incarico di contractor, pagato con ben diecimila dollari al mese, si trova ad essere testimone scomodo della strage di una famiglia locale. Perciò viene eliminato. A quel punto Fergus, tornato a Liverpool, non avrà pace fino a che non ricostruirà le vere circostanze della morte, al di là delle frasi rituali usate ufficialmente dai superiori. “Al momento sbagliato nel posto sbagliato”, ecco la formula che non spiega nulla. Cosa è successo davvero Fergus lo scoprirà, con i metodi appresi come mercenario. Cosa poteva fare Ken Loach di fronte a questi orrori se non un film? Egli usa infatti le uniche armi che possiede, la passione politica e la cinepresa. E forse poco importa che il film non sia uno dei migliori.
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